La prima bestialità della giornata di ieri, di un tragico mercoledì di inizio gennaio 2015, è la strage nella redazione di Charlie Hebdo. Dodici morti, tra cui i vignettisti più famosi di Francia. Un po’ come se da noi avessero ucciso in un colpo solo Forattini, Vauro, Vincino, ElleKappa, Altan…
Un gruppo di tre uomini armati di kalashnikov li ha freddati durante la riunione redazionale. In nome di Allah, in nome quindi dell’unico dio. Ci risiamo, dunque, con l’Occidente attaccato dai musulmani, con la superiorità della democrazia rispetto alla barbarie talebana e via così. I giornali di destra si sprecano nel formulare frasi, titoli e opinioni totalitarie, senza scampo alcuno, senza distinzione alcuna.
E infatti la seconda bestialità la scrive “Libero” quando, apparendo nelle rassegne stampa della sera, mostra a tutta prima pagina il titolo: “Questo è l’Islam” con sotto la foto del barbaro omicidio a sangue freddo del poliziotto francese atterrato vicino ad una aiuola da precedenti colpi di fucile.
Tutto questo odio, tutta questa contrapposizione è il fulcro di uno scontro che non ha senso se non nella reciproca contrapposizione tra due assoluti, tra due pensieri assoluti e inconciliabili secondo i rispettivi autori: gli uni dei criminali terroristi, gli altri dei giornalisti che dovrebbero misurare le parole, che dovrebbero operare delle distinzioni e non fare di tutta l’erba un fascio.
Ma la tentazione di sfruttare questo episodio per soffiare sul fuoco del disprezzo degli occidentali verso il mondo islamico, citando anche Oriana Fallaci e la sua “premonizione” sull’accanimento dell’Islam verso il mondo europeo e americano, è troppo grande per essere lasciata indietro: ed infatti in Italia la Lega di Salvini e in Francia il Front National della fascista Marine Le Pen fanno appello all’abolizione dei varchi doganali aperti, alle patrie in pericolo piuttosto che ricercare una unità repubblicana e democratica per battere tutto questo orrore.
La sinistra francese, invece, si ritrova a Place de la Republique e insieme a decine di migliaia di cittadini con penne e cartelli in mano, si riunisce in un grande dolore fatto di scritte a sfondo nero… “Je suis Charlie”. E diventa il momento più alto di una protesta civile, non urlata, fatta di libertà, uguaglianza e fratellanza.
I tre pilastri di quella grandissima rivoluzione che aprì all’Europa le porte di una nuova era, che seppellì il medievalismo delle monarchie e fece superare anche alla religione i suoi fanatismi tutti cattolici e anche protestanti.
Senza la Rivoluzione francese, senza la separazione tra Stato e Chiesa, l’Europa sarebbe oggi ancora uno o due passi indietro, molto vicina a tanti ambienti islamici che si proclamano eredi dei califfati degli Omayyadi piuttosto che del già più evoluto Impero Ottomano, per non parlare della cesura che operò Ataturk quando fece della Turchia uno stato veramente laico.
Senza quella rivoluzione, senza anche quegli eccessi che vi furono e che vengono sempre rappresentati dal sinistro emblema della lama della ghigliottina, senza le contrapposizioni cruente tra Danton, Robespierre, Desmoulins e Hebert o Brissot e la Gironda, senza tutta quella dialettica e quel Saturno divorato dalla sua stessa madre, l’intero Vecchio Continente oggi non potrebbe spocchiosamente erigersi a mondo “superiore” rispetto ad un Medio Oriente in fiamme, dove queste ultime sono frutto di una oculata politica imperialista di dominio mascherato da esportazione della democrazia.
Le destre fanno il loro mestiere: sfruttano le animosità, le inquietudini delle persone, soprattutto di quelle più disagiate e deboli e fomentano l’odio, il disprezzo, la contrapposizione aprioristica.
Le sinistre e i comunisti hanno invece il compito tutt’altro che “buonista” di muovere a critica sociale tutto quello che accade e ci succede intorno: la strage nella redazione del Charlie Hebdo potrà essere letta con molte diverse lenti di ingrandimento. Qualcuno chiamerà in causa i servizi segreti di questo o quel paese; qualcun altro invece si avvicinerà più o meno alla verità se saranno confermate le voci di una appartenenza di questi tre criminali a cellule fondamentaliste yemenite provenienti dagli ambienti della vecchia Al Qaeda.
Ma alla fine di tutti questi ragionamenti e analisi ci sarà sempre e solo una conclusione: i giornalisti e i vignettisti del Charlie Hebdo sono morti perché denunciavano degli eccessi, dei comportamenti che ledevano proprio la libertà dei popoli. E queste denunce, a volte anche fortemente tratteggiate da vignette irriverenti, erano più dirette di qualunque editoriale di quotidiano, di qualunque dibattito televisivo.
La libertà di espressione, la grande libertà di dissacrare ciò che altrimenti sarebbe intoccabile non può avere limiti se non quello di essere sempre dalla parte della diversità di opinione. Perché quando qualcuno dovesse stabilire a che livello si pone l’asticella insuperabile del diritto di critica, allora subito dopo inizia la fine non solo della libertà di satira, ma di qualunque altra libertà.
Charb, Cabu, Tignous e Wolinsky sono morti perché non accettavano nessuna asticella, perché tanto il Papa quanto Maometto, tanto Cristo quanto Buddha, tanto la Bibbia quanto il Talmud, tanto Hollande quanto Obama, tanto Melenchon quanto Marine Le Pen potevano e possono essere criticati e anche dissacrati. Con irriverenza. Forse anche con poco rispetto delle classiche forme del rispetto “borghese”. Ma se non fosse irriverente, che satira sarebbe?
Senza irriverenza ci sarebbe già meno libertà. E non ci sarebbe più nemmeno una risata. Una risata che, alla fine, seppellirà gli assassini e i loro mandanti.
E se in paradiso la classe operaia ha un posto assicurato dopo una vita di inferno, allora è bello pensare che accanto a tutti quei lavoratori delle braccia, ci siano anche i lavoratori della mente, della risata… Anche i vignettisti devono andare in paradiso…
MARCO SFERINI
8 gennaio 2015
foto tratta da Pixabay