Tre milioni e trecentomila firme complessive su tre quesiti (1,1 milioni per quesito): gli attivisti della Cgil ieri hanno dovuto scaricare un enorme camion pieno di scatoloni davanti agli uffici della Corte di Cassazione. Il primo passo è fatto: i tre mesi di raccolta sono andati oltre le aspettative e hanno superato la soglia necessaria alla indizione dei referendum (500 mila firme). Ora i documenti dovranno essere ovviamente validati dalla Corte, e se tutto andrà bene tra maggio e giugno prossimo saremo chiamati a votare per l’eliminazione dei voucher, la responsabilizzazione in solido dei committenti negli appalti e per la reintegra in caso di licenziamento illegittimo (articolo 18).
La Cgil è a tutti i tavoli aperti (se veri e propri tavoli si possono definire) dal governo, dalle pensioni ai contratti del pubblico impiego, ma non rinuncia a una opposizione più “alta” alle politiche del lavoro portate avanti da Matteo Renzi: e non solo, visto che i quesiti intervengono anche sulla legislazione precedente, almeno dalla legge 30 in poi. Come la stessa Carta dei diritti universali del lavoro, d’altronde.
Carta che ha raccolto a sua volta numeri analoghi: 1,1 milioni di firme circa, finora, ma in questo caso i banchetti restano aperti fino a tutto settembre. Le firme necessarie – il testo dovrà essere tradotto in una proposta di legge di iniziativa popolare – sono ancora meno: 50 mila. Ma chiaramente, più alto sarà il numero delle sottoscrizioni, più valore avrà per la politica. Le proposte di iniziativa popolare non sempre hanno fortuna, ma se magari non arrivano a essere discusse nella loro formulazione originaria, possono però essere utilizzate come base di sintesi per altri testi elaborati dai partiti.
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RED.
foto tratta da Pixabay