Ci speri per un attimo. Che il taglio delle tasse, per una volta, sia – se non proprio di matrice progressista (cosa del resto impossibile con un governo come quello di Draghi) – almeno un po’ progressivo. Ma forse i due aggettivi si tengono l’un l’altro davvero molto sincreticamente per poter essere separati alla nascita di una manovra di bilancio che deve mettere d’accordo un po’ tutta la maggioranza di “unità nazionale“.
E fin qui Draghi ci riesce: da Forza Italia ad Articolo Uno sembrano convinti che i sette miliardi messi per sfoltire il cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti e il miliardo destinato al lavoro invece autonomo siano cosa buona e giusta.
L’emendamento che conterrà il taglio dell’IRPEF accontenta il “centro” della società, il ceto medio: chi ha un reddito annuo che oscilla tra i 40 e i 50 mila euro. Non proprio roba da moderni proletari, da precari o anche soltanto da impiegati comunali appena fuoriusciti dalla mansione di leccatori di francobolli.
Infatti, la manovra scontenta i sindacati ma pure Confindustria, perché la riduzione delle tasse non è progressiva nel senso liberista del termine: insomma, non toglie molte tasse ai pochi grandi ricchi del Paese e non defiscalizza abbastanza.
Ci speri per un attimo, forse una frazione infinitamente più breve di quel miliardesimo di sottosecondo in cui è esplosa la densissima massa di energia che ha dato origine all’Universo… che le tasse le paghino di più i ricchi e meno i poveri. Ci speri. Ecco, è già finita qui. La speranza.
Ma la lotta sociale può continuare e ricominciare.
(m.s.)
26 novembre 2021
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