Il ribaltamento è sotto gli occhi di tutti, roba da triplo salto carpiato all’indietro con medaglia d’oro d’ufficio. A destra denunciano le varie culture woke, la cosiddetta «dittatura del politicamente corretto», e sostengono che il linguaggio e la comunicazione siano l’ultima, fragile, trincea dietro cui si sono barricate le sinistre (meglio ancora se radical chic), ma la verità è che sono terrorizzati dalla potenza di parole, immagini e narrazioni.

Insomma, l’ossessione è diametralmente opposta: è dell’altro giorno la proposta di legge leghista (poi ritirata) che voleva vietare l’utilizzo del genere femminile per alcune professioni. Ed è di queste ore lo scandalo per la messa in scena della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi. Siamo passati dal «Non si può dire più niente» utilizzato per giustificare ogni bestialità all’esplicita invocazione della censura.

Il passaggio che ha destato maggiore scalpore è la riproposizione in chiave pantagruelica (nel senso del romanzo di Rabelais) dell’Ultima cena di Leonardo Da Vinci. Tutto un mondo variamente reazionario (si va dai complottisti di ogni colore ai rossobruni fino a, ça va sans dire, i fascisti più o meno mascherati) ha visto nella rappresentazione dell’altra sera l’intenzione di macchiare l’immagine sacra con gli stilemi delle drag queen.

O, peggio ancora signora mia, della propaganda gender. Ne deriva, a cascata, tutto il campionario degli allarmismi di estrema destra sul laicismo che mette in scena «la debolezza e la disintegrazione dell’Occidente» (il presidente ungherese Viktor Orbán), sulla «Francia di oggi che sembra in mano a filoislamici» (Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo FdI alla camera). Per il golden boy del destrapensiero Francesco Giubilei, poi, «se l’Occidente vuole salvarsi dalla decadenza deve guardare alla Francia e fare l’opposto».

Il leghista Simone Pillon si è spinto a chiedere che l’Italia ritiri la sua delegazione in modo da «lasciare Macron a correre solo verso l’abisso» rappresentato da «le radici cristiane ridicolizzate, l’umanità priva di identità sessuale, tutto ridotto a un gigantesco gay pride dionisiaco». Il fatto che siano intervenuti anche i vescovi francesi ha fatto rievocare a più di una persona il precedente tutto italiano de Il Papocchio, il film di Renzo Arbore del 1980 ambientato in Vaticano con tanto di drag queen e tricolori (erano le Sorelle Bandiera) che venne accusato di vilipendio alla religione.

Ma non ditelo a Vannacci, sarebbe capace di far risalire a quella pellicola l’inizio del degrado morale. Del resto, sempre ieri nell’acme della paranoia tradizionalista, il senatore Lucio Malan di FdI ha scambiato il toro di bronzo della fontana del Trocadero per un vitello d’oro messo lì ad hoc per evocare la «blasfema disobbedienza» (sic).

Del resto, possiamo facilmente immaginare che ai destri si siano rizzati i capelli in testa quando i metallari Gojira hanno reinterpretato il canto rivoluzionario Ah Ça Ira! con tanto di ingresso in scena della regina Maria Antonietta con la testa mozzata in mano in mezzo a un tripudio di coriandoli rosso sangue.

La stessa Giorgia Meloni per svicolare da fascismi e postfascismi si riallaccia al conservatorismo, inteso non come generica postura moderata ma come specifica ideologia che si contrappone allo spirito di uguaglianza, libertà e fraternità (cui saggiamente l’altro giorno a Parigi è stata aggiunta la sororité, la sorellanza) innescato dal 1789 francese.

La linea reazionaria che corre da Edmund Burke a Roger Scruton esprime il panico, un sentimento morale prima che politico, che provano i privilegiati quando le masse si riprendono la storia. Da quel cliché sono nate tutte le culture reazionarie. La grande paura della Rivoluzione francese, della nuova era che andava inaugurando rappresenta il rifiuto della modernità: «Il mondo cambia e non so come interpretarlo, dunque mi invento un passato immaginario al quale tornare».

La grande paura della ghigliottina sopravvive e forse supera persino il terrore per la Rivoluzione russa, soprattutto da quando nell’immaginario collettivo se n’è appropriato (abusivamente) un tradizionalista, antiglobalista e finanziatore di svariate destre internazionali come Vladimir Putin.

A più di un destro saranno saltate le coronarie quando tra le statue dorate delle donne che hanno fatto la storia, è comparsa quella della comunarda Louise Michel, che sfidò la corte che doveva giudicare la sua attività rivoluzionaria con queste parole: «Se mi lascerete vivere, esorterò incessantemente alla vendetta». Qualcuno dirà, giustamente, che tutto ciò è anche espressione della sussunzione dell’immaginario giacobino dentro il sistema politico francese. Il che in parte è vero, basti ricordare che la mascotte di Parigi 2024 è ispirata al berretto frigio.

Ma in situazioni del genere è impossibile distinguere il palco dalla platea, i grandi eventi nello spazio pubblico sono fatti anche dall’uditorio e non possiamo evitare di notare che il presidente Macron è stato fischiato durante la proclamazione dell’inizio dei Giochi. A testimonianza del fatto che quello spirito rivoluzionario che tanto ha terrorizzato i benpensanti ha contagiato la gente in piazza.

Ecco perché da quest’anno avremo un motivo in più per portare un fiore ai caduti della Comune dell’ala sud del cimitero di Père-Lachaise. Il fatto che spaventino i controrivoluzionari anche da morti è la migliore celebrazione della loro vita.

GIULIANO SANTORO

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria