Se lo ricorderanno in molti, tra coloro che sono cresciuti durante gli anni ’70 del secolo scorso, quel 4 aprile del 1978. Già drasticamente mutata dall’avvento di Star Wars un anno prima, quella generazione di bambini fu testimone, alle 19.00 di quel giorno di primavera, di un’altra svolta epocale che condizionò con la potenza dell’impatto di un’alabarda spaziale passioni e pensieri. Su Rai due andò in onda la prima puntata di Atlas Ufo Robot, ovvero Goldrake, e nulla fu più come prima: la magnifica invasione degli “anime” robotici e non solo stava cominciando. Tragedie, mostri dallo spazio profondo, dischi volanti e soprattutto lui, Actarus/Duke Fleed, esule pacifista da un mondo annientato in grado di pilotare una gigantesca, bellissima, macchina da guerra per soccorrere (abominando la guerra ma soccombendo al dovere morale) il genere umano dall’improvvisa minaccia dei belligeranti alieni di Vega.
Ci sono voluti dieci anni e più di 600 pagine a Massimo Nicora per raccontare la suggestiva, spesso melodrammatica storia dell’arrivo dell’invenzione di Go Nagai in Italia in “C’era una volta Goldrake”, tomo prezioso edito da La Torre nel quale la nota passione dell’autore per l’argomento è subordinata all’indagine accademica e alla cronaca precisa dei fatti. Si tratta di uno strumento utile soprattutto per chi già conosce il grande robot di Duke Fleed e ha continuato a frequentarlo durante l’adolescenza e la maturità per poi “tramandarlo” ai propri figli, un manuale scientifico per studiare un fenomeno che fu sociologico, politico e culturale; solo successivamente artistico, quando il giovane pubblico divenne consapevole della profondità diegetica ed estetica di Goldrake. Già perchè come è accaduto dal rock & roll in poi fino ai videogiochi, le novità pop che in realtà sconfinano dalla nicchia nella quale si vorrebbero rinchiuse, non sono quasi mai piaciute all’intellighenzia più radicata nella tradizione, quasi ottusa, e prevenuta. Infatti quello che seguì alla messa in onda di Goldrake fu una guerra culturale che riletta oggi (Nicora la racconta con accenti che talvolta raggiungono l’epica della lotta tra Goldrake e i suoi nemici restando tuttavia sempre rigoroso e scientifico) dimostra una cecità e un’ignoranza che sarebbe tutta risibile se non fosse stata davvero combattutta. Una guerra inutile tra l’altro, perchè le passioni non si riescono mai a fermare, e noi bambini di quell’epoca ci sentivamo addirittura ribelli a sfidare il pensiero comune che ostracizzò, volgarmente, Goldrake e compagnia. Malgrado sia drammatico per ciò che implica, risulta inevitabilmente grottesco come molti giornalisti, in lunghi articoli belligeranti e allarmisti pubblicati sui quotidiani nazionali, considerassero Goldrake un cartone animato realizzato automaticamente da un computer! Ecco cosa venne scritto su Panorama, ad esempio: “Goldrake è fatto della totale e gelida disumanità delle macchine… I tecnici che l’hanno creato inseriscono i disegni base nel computer che provvede a realizzare i movimenti , a creare l’animazione”.
Si vituperava inoltre una violenza che possiede una sua matrice classica e nipponica insieme, esaltando i “buoni” cartoni del passato quando un Tom & Jerry qualsiasi, senza nulla togliere alla spassosa invezione di Hanna e Barbera, contiene situazioni assai più didascaliche sul come fare e farsi male da bimbi. Tra gi intellettuali e gli artisti nemici di Goldrake ci fu anche Dario Fo sull’Unità ma tra i difensori Gianni Rodari, Oreste del Buono e Marco Ferreri, che scrisse di preferire la generazione dei giovani cresciuti con Goldrake rispetto a quella formatasi con il libro Cuore di De Amiciis.
Leggendo questo mai troppo lungo, pienissimo e unico saggio di Massimo Nicora, connettendolo alla nostra infanzia e alla nostra maturità, una cosa risulta lampante: la messa in onda di Goldrake fu un’intuizione geniale della Rai di allora, la stessa che produsse i film su Cartesio o Agostino di Rossellini, fino a concedere la notte a Enrico Ghezzi.
FEDERICO ERCOLE
foto adattata e tratta da Flickr