Le università italiane collaborano sempre di più per attività di ricerca, formazione e trasferimento tecnologico con l’industria della difesa e militare, specialmente con Leonardo s.p.a., la più rilevante industria europea in questo ambito, attiva anche nel settore della sicurezza, e con la fondazione ad essa collegata Leonardo Med-Or.

A partire da una critica ai rapporti dell’università in cui lavora, il Politecnico di Torino, con Leonardo s.p.a. e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera sotto inchiesta per violazione dei diritti umani in Grecia, Michele Lancione, professore ordinario di geografia politico-economica, ha approfondito il tema dell’intreccio crescente tra accademia, ricerca, formazione e mondo militare in Italia, con un occhio a quanto accade in altri contesti, tra cui Usa, Regno Unito e Australia.

Lo ha fatto con Università e militarizzazione. Il duplice uso della libertà di ricerca (Eris, pp. 82, euro 8), libro che affronta i motivi per cui chi lavora nelle università dovrebbe rifiutare le collaborazioni con l’industria delle armi, anche quando tali collaborazioni riguardano applicazioni di tipo civile e non la produzione di armamenti.

Lancione scende nel profondo del problema, va alla sua radice, evitando di farsi fermare dall’obiezione – che gli ha fatto lo stesso Rettore del Politecnico di Torino in un incontro pubblico – secondo cui l’università partecipa a ricerca e sviluppo di tecnologie in ambito civile, come, ad esempio, la produzione di pannelli solari per missioni spaziali, e non è inserita in programmi militari. È questa tesi che il volume contrasta, definendola la trappola del duplice uso della ricerca: il fatto che essa sostiene «tecnologie concepite per l’ambito civile che vengono utilizzate in quello militare, e viceversa».

Il riferimento al duplice uso libera l’università da ogni responsabilità nei riguardi del rapporto con il mondo militare: un discorso che impedisce «un’analisi critica del rapporto tra mondo della ricerca civile e il Militare». L’autore, invece, richiama alla responsabilità, a risposte non banalizzanti, e, così, giunge a spiegare perché è necessario rifiutare tali collaborazioni, anche quando esse riguardano tecnologie duali, ponendo la domanda: «cosa comporta, in senso ampio, il rapporto istituzionale tra il Politecnico di Torino e Leonardo?».

La risposta è su tre livelli – culturale, sociale ed economico – e chiama in causa il ruolo della ricerca universitaria che, collaborando con Leonardo, così come con Frontex, contribuisce «alla legittimazione culturale di tale industria; all’avvicinarsi ulteriore delle catene sociali attraverso cui il sapere circola, adattandosi a questo e a quell’utilizzo» e, infine, «all’ineludibile attrattività e lucrosità dell’intersezione tra mondo civile e militare».

Dopo avere argomentato la necessità di tener fuori dagli atenei la logica militare, il libro approfondisce il processo di rafforzamento dell’industria accademico-militare e le sue manifestazioni nei campi della formazione condivisa tra università e istituzioni della difesa, della ricerca e – un campo in espansione – della sistematica «cooperazione tra Difesa, Università e Industrie di settore», come sancito dal Documento programmatico 2020-22 del Ministero della Difesa.

Infine, dopo avere fornito ulteriori analisi sul carattere fortemente critico della collaborazione tra Frontex e il Politecnico di Torino, il libro affronta le modalità attraverso cui è possibile – come avviene in altri contesti, come, ad esempio, nel Regno Unito – «praticare resistenza», comprendendo anche, nel capitolo conclusivo, la necessità di «riprendersi l’università». Qui il libro pone a chi studia e lavora negli atenei una domanda diretta: «credete sia giusto che uno spazio fondato sullo studium, ovvero sul desiderio e l’amore per la conoscenza, diventi uno spazio per fornire servizi a chi produce armi?».

Sullo sfondo, il problema della trasformazione dell’università al servizio del militare, dunque di un mondo con logiche che nulla hanno in comune con la formazione critica che, al contrario, ha bisogno della «libertà d’azione e di pensiero di chi fa ricerca e fa lezione».

È evidente l’utilità di questo libro, che riavvia, dopo troppo tempo, l’attenzione sul rapporto tra università e mondo militare, sollecitando un lavoro di inchiesta collettiva, con l’obiettivo di capire quanto l’industria militare sia attiva negli atenei e ne stia orientando ricerca e logiche di pensiero. A riprova dell’importanza del volume, la sua pubblicazione ha anticipato di poco la diffusione di una petizione dal titolo esplicito Fuori le università dalla Fondazione Med-or/Leonardo, produttrice di armi e di morte.

GENNARO AVALLONE

da il manifesto.it

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