Cartabia: «Tradita la Costituzione, voglio verificare ogni passaggio»

Santa Maria Capua Vetere. Inchiesta sui pestaggi dei detenuti, primi interrogatori di garanzia per nove agenti indagati

«Una volta ricevuta dall’Autorità giudiziaria di Santa Maria Capua Vetere l’ordinanza di custodia cautelare, sono state immediatamente disposte le sospensioni dei 52 indagati»: l’annuncio ieri dal ministero della Giustizia. L’inchiesta è quella relativa ai detenuti del reparto Nilo del carcere sammaritano: la procura ipotizza che siano stati pestati il 6 aprile 2020 come ritorsione per le proteste del giorno precedente, scatenate dalla notizia di un caso Covid. Volevano igienizzanti e mascherine, invece sono stati oggetto di una «orribile mattanza». Gli indagati sono solo una parte dei circa 300 agenti impiegati, la parte che è stata possibile identificare. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria avrebbe potuto spostarli invece si è atteso l’intervento del gip, che lunedì ha convalidato le misure cautelari. Il ministero ha aggiunto: «Il Dap sta valutando ulteriori provvedimenti nei confronti di altri indagati. Occorre il ripristino dell’intera rete di videosorveglianza negli isitituti».

La ministra Cartabia ieri ha convocato il capo del Dap, Bernardo Petralia, il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, i sottosegretari Francesco Paolo Sisto e Anna Macina. Nel pomeriggio la sua nota: «Un’offesa e un oltraggio alla dignità dei detenuti e alla divisa della Polizia penitenziaria. Un tradimento della Costituzione: l’art. 27 richiama il “senso di umanità” che deve connotare ogni momento di vita in ogni penitenziario. Un tradimento della funzione della Polizia penitenziaria nella missione di contribuire alla rieducazione del condannato». Cartabia ha poi aggiunto: «Ho chiesto un rapporto su ogni passaggio e sull’intera catena di responsabilità. Questa vicenda richiede una verifica con tutte le articolazioni istituzionali. I diritti costituzionali non possono essere calpestati».

Le telecamere del penitenziario hanno ripreso i pestaggi. Il magistrato di sorveglianza Marco Puglia ha acquisito le registrazioni pochi giorni dopo, evitandone così la cancellazione: 292 detenuti del Nilo fatti sfilare tra due file di agenti, con la testa bassa per evitare che li riconoscessero, picchiati con i manganelli, presi a calci lungo corridoi e scale. Per 15 di loro non finì quel giorno. Con documenti che la procura giudica falsi (in una comunicazione firmata da 4 agenti vengono indicati come «autori di “una sostanziale resistenza attiva” che aveva comportato la necessità di provvedere al “loro contenimento”»), furono trasferiti al reparto Danubio.

«Non avevano coperte – mette agli atti uno di loro -, mi sono coperto con la federa del materasso. Per 5 giorni in queste condizioni. Dopo 2 giorni è venuto il dottor Puglia che ha visto le condizioni in cui stavo, ci ha rassicurati che avrebbe preso provvedimenti. Dopo ulteriori 5 giorni ho fatto la conferenza con il dottor Puglia e gli riferivo che non era cambiato nulla». E un altro: «Ero in cella con Antonio Flosco. Quest’ultimo si presentava pieno di sangue, mi ha riferito di aver subito una ispezione anale con un manganello. Nella cella vi erano solo due materassi, senza la possibilità di effettuare il cambio degli indumenti, nemmeno intimi. Solo il giorno seguente ci è stato servito il pasto».

Flosco racconta: «Quella sera non ci è stato servito né la cena né l’acqua. È passato un infermiere a cui ho fatto presente che le mie condizioni erano incompatibili con l’isolamento. L’infermiere mi ha detto che era già a conoscenza, tanto è vero che l’ha fatto presente a un ispettore. Per 5 giorni sono rimasto in isolamento». Un altro detenuto spiega: «Nessuno ci ha visitato. Non ho chiesto l’intervento di alcun infermiere o medico in quanto avevo paura di prendere altre botte».

E un altro ancora: «Cristian perdeva sangue dall’orecchio, aveva lividi agli occhi, ematomi sulla schiena e sulle gambe. Ci hanno lasciati per 5 giorni con gli abiti ancora sporchi di sangue. Non mi è stato consentito di telefonare ai familiari». E infine: «Ci hanno lasciato con il volume del televisore al massimo, ininterrottamente, anche di notte, fino al giorno 9 quando è giunto il dottor Puglia». Lamine Hakimi, schizofrenico, è stato pestato e poi lasciato senza terapia, in stato di choc nel Danubio. Dopo un mese ha assunto oppiacei ed è morto. La procura ha ipotizzato il delitto di «morte come conseguenza di altro reato» ma il gip l’ha considerato suicidio. Non è chiaro come si sia procurato gli oppiacei.

Primi nove interrogatori di garanzia ieri per gli agenti (3 sono in carcere, 6 ai domiciliari): in 7 si sono avvalsi della facoltà di non rispondere; Pasquale De Filippo è l’unico ad aver risposto al gip per contestare le accuse. Salvatore Mezzarano ha rilasciato una dichiarazione spontanea: «Sono l’ultimo anello della catena, le modalità di intervento sono state decise dai superiori». Magistratura democratica attacca: «A luglio saranno 20 anni dal G8 di Genova. Nomi come Diaz e Bolzaneto evocano quella “eclisse della democrazia” sulla quale ancora dobbiamo riflettere». Oggi pomeriggio a Santa Maria Capua Vetere arriverà Salvini: «Chi sbaglia paga ma serve rispetto. Sono convinto che non hanno fatto nulla di male». Dal Pd Enrico Letta: «Abusi così intollerabili non possono avere cittadinanza nel nostro paese». Fratoianni chiede i codici identificativi per gli agenti in divisa.

ADRIANA POLLICE

da il manifesto.it

foto: screenshot

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