Sbrufoncella, fuorilegge, delinquente, autrice di un atto criminale, complice dei trafficanti di esseri umani: sono solo una parte dei termini usati dal ministro dell’Interno Matteo Salvini all’indirizzo della capitana della Sea Watch 3, Carola Rackete. Interviste Tv, post, dirette facebook, una propaganda martellante contro l’attivista tedesca andata avanti per settimane, diventata oggetto della denuncia per diffamazione aggravata e istigazione a delinquere che oggi il legale di Rackete, Alessandro Gamberini, depositerà alla procura di Roma. Nella querela si chiede anche il sequestro dei profili Facebook e Twitter del leader della Lega perché «propaganti messaggi d’odio».
Nella denuncia la capitana scrive: «Salvini conduce una campagna diffamatoria nei confronti dell’Ong per cui lavoro, avendo affermato in occasioni pubbliche che si tratterebbe di “un’organizzazione illegale e fuorilegge” che fa “sbarco di immigrati illegali da una nave illegale”, i suoi appartenenti sarebbero “complici di scafisti e trafficanti”, “delinquenti, sequestratori di esseri umani”». Tutte esternazioni non suffragate da prove che potrebbero provocare una nuova querela da parte dell’Ong Sea Watch. Intanto, Rackete sottolinea: «Tali affermazioni sono lesive anche della mia reputazione e mettono a rischio la mia persona e la mia incolumità».
Poi ci sono le offese personali: «Le esternazioni attraverso i diversi canali, lungi dall’essere manifestazioni di un legittimo diritto di critica, sono state aggressioni gratuite e diffamatorie con toni minacciosi diretti e indiretti». E ancora: «Nelle parole di Salvini risultano veicolati sentimenti viscerali di odio, denigrazione, delegittimazione e persino di vera e propria de-umanizzazione. Le frasi diffamatorie di Salvini sono strumento di un messaggio di odio idoneo a provocare, da un lato, la commissione di nuovi delitti di diffamazione ai miei danni e, dall’altro, di espormi al pericolo di aggressioni fisiche».
È l’avvocato Gamberini a spiegare: «Non vogliamo impedire la libertà di espressione ma chiediamo il sequestro dei profili dove Salvini istiga all’odio. Siccome nei casi in oggetto non agisce da senatore o da ministro farà fatica a invocare lo scudo parlamentare. Le sue aggressioni verbali avvengono al riparo del suo ruolo, utilizzato al solo scopo di veicolare l’astio tra i suoi sostenitori. I tanti follower che replicano le sue parole sono appunto la prova dell’istigazione». Un esempio? Il leader leghista ha pubblicato una foto che lo ritrae con un gruppo di donne in divisa, sotto la foto di Rackete con la scritta «una criminale»: «Un’immagine – si legge ancora nella denuncia – che assume la connotazione di una segnalazione pubblica e rimanda ai manifesti dei ricercati (Wanted) e mi indica come bersaglio di condotte minacciose, ingiuriose e diffamatorie, quando non violente».
Tra il 9 maggio e il 5 luglio, tra interviste e post, è una lunga sequela di insulti: delinquente e criminale tornano con maggiore frequenza. I bersagli sono Sea Watch, Rackete ma anche la gip Alessandra Vella, che ha rigettato la richiesta di arresto della capitana da parte dei pm smontando la tesi accusatoria. Vella viene definita da Salvini «giudice miserabile», in un post si legge: «Visto che speronare non è reato mi auguro che qualcuno speroni l’automobile su cui viaggia il gip Alessandra Vella». La conseguenza è stata una valanga di ingiurie al suo indirizzo tanto da farle chiudere il profilo social. Il Csm in settimana ha persino aperto una pratica a tutela della gip. «Gli interventi di Salvini – si legge nella querela – si svolgono non all’interno della sua funzione, ma facendo di essa un puro strumento propagandistico e istigatorio di un “discorso dell’odio”, che travolge ogni richiamo alla funzione istituzionale».
Del resto Salvini sa cosa mette in moto con i suoi post. Nella querela c’è un elenco di commenti dei suoi follower: «Puttana tedesca»; «quella donna vacca, più che portarli in salvo se li scopava uno per uno»; «zoccola malefica» sono solo un piccolo esempio. Fino agli attacchi violenti ai limiti del sadismo. È il brodo di coltura del consenso che la macchina della propaganda leghista alimenta. Ad esempio, il video postato il 3 luglio è stato visto da quasi un milione e mezzo di persone, commentato 98mila volte e condiviso da quasi 25mila utenti. Il leader del Carroccio ha usato ancora i social per replicare: «La comunista tedesca, quella che ha speronato la motovedetta della Guardia di finanza, ha chiesto alla procura di chiudere le mie pagine Facebook e Twitter. Non c’è limite al ridicolo. Quindi posso usare solo Instagram???». Gamberini ribatte: «Spetta alla giurisdizione verificare se i metodi che utilizza Salvini siano ammissibili in uno stato democratico. La politica non può essere una zona franca del diritto».
ADRIANA POLLICE
foto tratta dalla pagina Facebook di Sea Watch