Ogni tanto capita anche a me di condividere le dichiarazioni di qualche esponente del Partito Democratico. Questa volta mi capita di condividere quelle di Bersani sul pericolo rappresentato da Grillo: se si permettesse a costui di diventare il capo del primo partito italiano e di avere la maggioranza in Parlamento si infilerebbe, proprio come ha detto il segretario del PD, la volpe dell’autoritarismo nel pollaio della democrazia. E’ una metafora che calza a pennello e che meglio non poteva essere espressa per significare il timore che il comico genovese possa trasferire negli apparati dello Stato la stessa metodologia di amministrazione che adopera nel suo movimento.
Emblematica è la vicenda dell’elezione del Presidente del Senato: a Grillo sfuggono dal suo eterno controllo una decina di senatori e subito sul suo blog è anatema, è scomunica, è invito (quindi “ordine”) a farsi da parte.
La prima considerazione è la troppa veemenza che Grillo mette nella politica: non si ferma a considerare i fatti, ma applica le regole del “patto” che ha fatto firmare ai suoi candidati senza eccezione di sorta e senza dimenticare, ma sovrastando volutamente, la Costituzione, l’unica norma a cui i rappresentanti della Nazione devono rispondere.
I padri costituenti non misero a caso le parole nell’articolo 67 che stabilisce il “non vincolo di mandato” per tutti i deputati e tutti i senatori. Si voleva, in tal modo, salvaguardare la libertà di coscienza e di dissenso, garantendo la più ampia democrazia possibile nelle due più alte assemblee della neonata Repubblica Italiana che doveva (e ancora oggi deve essere) l’esatto contrario di una Camera dei fasci e delle corporazioni…
E dispiace sentire che un senatore grillino sarebbe già disposto a lasciare la sua carica solo perché il padre e padrone del Movimento 5 Stelle si è imbufalito. Rimanga al suo posto quel senatore e dimostri a Grillo che la disobbedienza, se bene esercitata, è utile al mantenimento dei più forti pilastri della democrazia sia per le istituzioni sia per i soggetti politici.
Non mi appassionano molto gli scommettitori che puntano su questo o quell’avvenimento, sulla spaccatura di quel partito, sulla fuga di quel senatore, se Grillo sarà o meno furibondo per tale o talaltro evento.
Mi interessa, francamente, comprendere la reazione dei due capi del movimento cinquestellino per comprendere, come ha del resto espresso Bersani, quale volpe è Grillo e come si comporterebbe in un pollaio dove regna ancora una parvenza di democrazia. Che pure esiste.
Se l’apparenza inganna, evviva. Ma se l’apparenza, invece, è uno specchio della proiezione futura dei comportamenti politici di Casaleggio e Grillo, allora l’allarme per il deperimento democratico va suonato, come del resto si era già intuito dalle dichiarazioni del comico-politico sui sindacati, sui migranti e su molti altri ambiti della vita politica e sociale del Paese.
Le sue urla sulla debolezza del sistema e la condanna senza appello contro tutto e tutti coloro che fanno parte di un partito, è già un attacco alla democrazia.
Se esiste un modo per evitare che il Movimento 5 Stelle cada nella spirale dell’autoritarismo mascherato da consenso di massa, da quel falso e ipocrita slogan cantato in mille piazza “siamo cittadini, punto e basta, ognuno vale uno”, ebbene questo modo oggi sta proprio nella dissidenza grillina di quei senatori sicilini che hanno votato Piero Grasso.
La figura di Grasso la lascio fuori da un giudizio di merito: indubbiamente è preferibile lui al già ben noto Schifani. Beppe Grillo deve fare i conti non più con l’univoco consenso delle piazze galvanizzate dai suoi spettacoli gratuiti e tutti diretti a far godere la disperazione della gente, ma con il complesso mondo della gestione di un Paese che passa anche attraverso accordi e disaccordi; un mondo dove l’unanimità può arrivare all’improvviso e altrettanto all’improvviso fuggire e scomparire come l’Araba Fenice.
Magari ritornerà e magari si scioglierà in cenere in un batter d’occhio.
Se davvero “ognuno vale uno”, non può essere un regolamento interno ad imporre un’etica ai senatori. Non può essere che la Costituzione la barra di indirizzo morale nell’amministrazione della politica del Paese, nel lavoro di formazione delle leggi.
Invece che lanciare proclami di scomunica, Grillo faccia come papa Francesco: perdoni e chieda ai senatori di rivolgersi a lui non come ad un capo supremo, ma come quell’ “uno che vale uno”. Perché l’alternativa è la finta parità augustea: “primus inter pares”. Ma Augusto se lo poteva permettere, Grillo no.
E se poi persino un papa si inchina davanti ai suoi fedeli, non può un comico, diventato politico non certo per intercessione divina, guardare almeno negli occhi i suoi amici senatori e discutere pacatamente con loro di quanto è avvenuto?
Ai senatori grillini “dissidenti” lascio un mio consiglio: prendete “Lettera ai giudici” di don Lorenzo Milani e mandatela all’indirizzo di villa di Grillo. Però mettete in post-it nel libro: laddove si legge che “l’obbedienza non è più una virtù”.
MARCO SFERINI
18 marzo 2013