Carezze macroniane alla destra: il disastro è quasi fatto

Le verità e non la verità. Ce n’è sempre più di una nel racconto, nella cronaca, nell’analisi del dopo voto di un grande paese come la Francia. Per la...

Le verità e non la verità. Ce n’è sempre più di una nel racconto, nella cronaca, nell’analisi del dopo voto di un grande paese come la Francia. Per la sua complessa composizione sociale che le proviene da una storia praticamente globale, letteralmente universale, che ha attraversato i millenni e che ne fa oggi uno degli Stati su cui l’economia europea poggia e, al tempo stesso, rischia di franare nell’orrore della guerra.

La prima considerazione seguente il primo turno delle elezioni legislative d’oltralpe potrebbe infatti riguardare, tra l’altro, l’accentuata disposizione macroniana ad entrare sempre di più nel perimetro bellicista della NATO, a farsi interprete a tutto tondo di un espansionismo imperialista che mette insieme interessi nordatlantici e interessi ovviamente francesi.

In questa rincorsa all’esponenzializzazione bellica, al riarmo di Kiev al punto da ipotizzare – nemmeno poi tanto vagamente – l’invio di contingenti di truppe NATO (e quindi anche di Parigi) al fronte ucraino-russo, la partita del presidente iperliberista ha perso indubbiamente terreno in termini percentuali, relativamente all’avanzata impetuosa del Rassemblement National di Le Pen e Bardella, diversamente invece se si osservano i dati assoluti.

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Facendo un paragone per ora ancora piuttosto parziale, visto che occorre attendere il 7 luglio per sapere la composizione definitiva della nuova Assemblea Nazionale, si può comunque avere una idea del mutamento dell’asse politico-sociale francese se si mettono a confronto le cifre nude e crude: nel 2022 il Rassemblement National aveva raccolto 4.248.626 voti (pari al 18,68%) ed oggi ottiene 10.628.508 voti (con un grande balzo che lo porta al 33.15%).

La vecchia coalizione della sinistra, la NUPES (la Nuova Unione Popolare Ecologista e Sociale) aveva raccolto 5.836.202 voti, attestandosi sul 25,66. Oggi il Nouveau Front Populaire, che la reinterpreta, aumenta di tre punti in percentuale e passa a 8.974.566 consensi.

Il partito di Macron, che nel 2022 era attestato sul 25,75% con 5.857.561, in forza dell’aumentata partecipazione al voto (un +19,2%, quindi in questo turno una affluenza pari al 66,71% degli aventi diritto ad eleggere i componenti dell’Assemblée), registra un aumento di consensi (6.425.217) ma una drastica diminuzione in percentuale: 21%.

Dopo la disfatta delle europee di giugno, l’azzardo di Macron nello sciogliere l’Assemblea Nazionale e ricorrere – come già altre volte aveva fatto – al giudizio dell’elettorato per rafforzare una posizione oggettivamente di debolezza intrinseca della sua coalizione Ensemble non ha avuto l’effetto ottenuto nelle precedenti tornate di voto. Questa volta il partito del presidente, pur raccogliendo il 21% dei suffragi, si ferma dietro l’ottimo risultato del Nouveau Front Populaire (28%) e molto più indietro, ovvio, rispetto al competitore per eccellenza: Marine Le Pen.

Una Le Pen che ha rinnovato la classe dirigente del suo partito, trasformato da postfascista ad estrema destra radicale che, seppure imbellettata di nuovismo giovanilista (Bardella ha solo ventotto anni e rischia di essere il primo ministro più giovane in assoluto nella storia della Repubblica francese), riprende le vecchie argomentazioni xenofobe, omofobe e nazionaliste, tralasciando quell’antisemitismo proprio del Front National di suo padre, il quasi centenario Jean-Marie, e cercando per la sua formazione politica una collocazione di centrodestra che, tuttavia, riesce difficile – tutt’oggi – da immaginare.

Questo perché i programmi del RN muovono su un crinale di ambiguità tipico delle destre che non rinnegano e non restaurano: non proprio esattamente come in Italia, ma sicuramente lo schema della congiunzione tra passato e presente è sempre la medesima e si ripete al di qua e al di là delle Alpi.

La voglia e, quindi, la necessità di essere accreditati e accettati nel consesso europeo come moderne forze di governo, fa di queste formazioni neonazionaliste e nostalgiche dell’identitarismo esclusivista (tra le battaglie prime del RN c’è, infatti, quella contro l’immigrazione) le migliori interpreti del doppiogiochismo istituzionale.

La sconfitta di Macron è plateale, nonostante i numeri assoluti raccolti da Ensemble. Si tratta di una partita persa anzitutto con un ceto medio che guarda a Marine Le Pen e a Bardella non tanto come nuovi nazionalisti con i tratti dell’autoritarismo congeniti, ma come unico argine ad una sinistra che, oggettivamente, è oggi (ma lo era anche nel 2022) l’antagonista prima delle destre che escono dal consesso laicamente repubblicano, dal trittico storico-rivoluzionario della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità.

Ed infatti, paventando il “blocco” tra le forze antifasciste, Bardella si affanna e si affretta a dipingere uno scenario da incubo per la Francia caso mai vincessero nella maggior parte dei collegi i “candidati dell’estrema sinistra“: manca soltanto che evochi la ghigliottina a il giacobinismo (che poi mica sarebbe così male… il secondo, si intende!) e l’alterazione, l’adulterazione della verità oggettiva delle elezioni è servita.

Del resto, l’obiettivo dei lepeniani è sedurre l’elettorato moderato e centrista, un po’ di destra gollista (quei repubblicani fermi sotto il 7% e che sono stati protagonisti del dramma interno tra Ciotti e la dirigenza del partito un tempo di De Gualle…), per recuperare quel tanto da sopravanzare la possibile (ed auspicabile) convergenza tra i voti del Nouveau Front Populaire e quelli di Ensemble per battere i candidati del Rassemblement National collegio per collegio.

La desistenza, e quindi la rinascita del “blocco repubblicano“, è affidata, più che a Mélenchon, Glucksmann, Roussel e Faure, ai centristi che ruotano attorno al presidente. Tutta la sinistra ha, senza nessun tentennamento, già dichiarato di essere pronta a ritirare i propri terzi candidati nei collegi per far convergere i voti su quelli macroniani. Naturalmente ci si attende uguale dichiarazione e, quindi il patto davanti alla nazione francese, da parte di Attal e Macron.

Il tentativo duplice di Le Pen e Bardella è e sarà quello di mettere inseme la rispettabilità di forza democratica con la rassicurazione dei mercati. Ed infatti, proprio su quest’ultimo punto si mostrano particolarmente aggressive le parole del candidato primo ministro in pectore che parla di attacchi alla proprietà privata, di depredazione del patrimonio personale, di tassazioni esagerate, di uno scenario (e magari…) da “Comune di Parigi“.

Macron sembra intenzionato, nella valutazione “caso per caso” dei candidati nei collegi, a badare più che altro all’interesse della sua formazione politica e all’evitamento di un tracollo totale che lo imprigionerebbe tra le cifre piuttosto rilevanti tanto del RN quanto del NFP. Un presidente più che dimezzato nelle sue funzioni che, oltre a non avere più una maggioranza nell’Assemblea Nazionale, a dover subire la “coabitazione” con Bardella nel governo della Repubblica, dovrebbe fare i conti con la seconda opposizione, nettamente di sinistra.

La trasversalità del “blocco repubblicano” riesce soltanto se si evita una saldatura completa tra ceto medio, imprenditoria e Rassemblement National come portatore della nuova stabilità politica per i mercati francesi. Molto dipende dal comprendere se questa convergenza si è già completamente esaurita nel primo turno delle legislative o se, magari attraverso gli apparentamenti con Les Républicains di Ciotti, può avere nuovo vigore e potenzialità non ancora completamente espresse.

La “macronie” ha, in tutti questi anni di governo, preparato molto di più il terreno ad un dialogo con le destre piuttosto che con le odiate sinistre keynesiane o socialdemocratiche. Di questa premessa fa parte il dibattito interno ad Ensemble che vede contrapposti da un lato il primo ministro Attal favorevole ad una desistenza senza differenze (escludendo quindi la distinzione da un lato tra candidati de La France Insoumise e del Partito Comunista Francese e dall’altro i candidati “riformisti“) e dall’altro lato l’ex presidente dell’Assemblea nazionale Yaël Braun-Pivet che opera invece i distinguo di cui sopra.

Ne esce una situazione complessa nel centro che è messo davanti, in questo modo, ad una responsabilità storica: scegliere tra il consegnare la Francia ad una coabitazione tra il suo presidente e la destra estrema, che andrebbe economicamente nella direzione liberista, separata però dai valori liberali cui Macron dice di voler guardare ancora nel rispetto della laicità repubblicana e dell’antifascismo conseguente; oppure preferire un rapporto con la sinistra che, indubbiamente, obbligherebbe, se in maggioranza anche relativa, il capo dell’Eliseo ad un aggiustamento anzitutto dei rapporti interni e delle relazioni con Bruxelles.

Tutto ciò non preclude nemmeno la grande questione della guerra e dell’economia di guerra. Nel secondo turno delle legislative, quindi, la posta in gioco è davvero molto alta. Per l’intero Esagono e per una Europa che, qualora la République française svoltasse verso l’estrema destra, lascerebbe da sola la Germania di Scholz ad affrontare tanto ad est quanto ad ovest il sovranismo populista nella critica abbastanza dura all’impostazione europeista e filo-atlantica.

Diverso sarebbe invece il tipo di connubio con il Nouveau Front Populaire: non in merito alla questione bellica, anche se vanno operati degli opportuni distinguo con il programma di Le Pen e Bardella, ma soprattutto a riguardo delle politiche sociali (nonché a quelle civili). Per quanto il giovane pupillo lepenista si sia dichiarato più volte contro gli assi dei grandi poteri forti, il Rassemblement National sta appieno entro la logica mercatista e liberista.

Il tipo di declinazione cui sottopone l’adesione al moderno capitalismo di rapina è un furto nazionale contro la nazione stessa se, si intende, pensata come unità di popolo e non come trasversalità interclassista. L’estrema destra colora di nero quasi tutta la periferia francese e molte città medie ma non riesce a conquistare Parigi. La capitale resiste, così come altre regioni confinarie e alcune a ridosso del Massiccio Centrale.

È la fotografia di una Francia rurale, medio-borghese che ondeggiava prima tra il voto gollista e quello macroniano e che ha deciso, non senza la convergenza con vasti strati proletario-popolari, di preferire Bardella per sentirsi più sicura: da un lato sul piano economico-profittuale, dall’altro quello dell’interruzione del processo di “sostituzione etnica” paventato come imminente dalla propaganda xenofoba e razzista mai davvero interrotta tra Front e Rassemblement National.

La Francia ha almeno la possibilità di recuperare al secondo tempo di questa partita pericolosissima per la sua stabilità economica, sociale, civile e cultural-morale. Ce l’ha perché, a differenze dell’Italia, possiede una sinistra che, nonostante la fine della NUPES, è rimasta compatta nell’opposizione alle controriforme macroniane: prima fra tutte quella sulle pensioni. Pur nelle debite differenze tra i diversi soggetti che lo compongono, il Nouveau Front Populaire, anche dopo il primo turno, ha coralmente fatto appello al blocco repubblicano.

Senza tentennamente, senza amiguità legate a trattative politiciste, a tatticismi che, in questo momento, sono e sarebbero di vera bassa lega rispetto al pericolo che corre la nazione d’Oltralpe nel paventare l’arrivo al governo degli eredi del post-fascismo ancora intrisi di pregiudizi, prevenzioni, razzismi, omofobie e quanto di altro si può leggere nei loro programmi che intendono trasformare la Francia in una repubblica ipernazionalista, suprematista e molto vicina agli standard polizieschi di Vichy.

Senza esagerare e senza fare paragoni impropri sul piano storico, l’accostamento non è del tutto improprio. Per quanto modernizzata e apparentemente rispettabile, l’estrema destra del RN è, così come lo era il Front National di Jean-Marie Le Pen, al di là dei princìpi rivoluzionari, perché nega anzitutto l’uguaglianza nell’universalità dell’umanità che, nella “Dichiarazione dell’uomo e del cittadino” era alla base della nuova costituzione del Regno di Luigi XVI prima e della Repubblica poi.

Così come avviene in tutti i paesi europei, senza i migranti le nostre nazioni non potrebbero letteralmente “funzionare“. L’idea di tornare ad una riconoscibilità nazionale su base etnica non era appartenuta nemmeno ai fervori patriottici ottocenteschi. Si tratta di un retaggio veramente fascistoide (e nazistoide) e, quindi, rappresenta tutt’oggi il prologo di un pericolo molto più subdolo.

La schietta dedizione repubblicana del Nouveau Front Populaire alla causa della democrazia e della difesa della Repubblica dal pericolo autoritario e neofascista è dimostrata da giorni dal ritiro dei candidati piazzatisi al terzo posto nelle tante triangolari venute fuori dal voto. Macron deve andare nella stessa direzione o, dopo aver aperto la porta alle destre estreme per arrivare al governo del paese, finirà col spalancargli tutti i portoni possibili. Magari anche quello della presidenza della Repubblica stessa…

MARCO SFERINI

2 luglio 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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