Può anche essere che la mia criticità verso il movimento delle sardine sia stata e sia dettata dalla mia appartenenza culturale e politica, nonché sociale, ad un modo di esprimere l’impegno per il cambiamento di noi stessi e della maniera in cui viviamo differente da come viene inteso dal cosiddetto “spontaneismo“.
Le piazza stracolme di giovani e di persone di media e anche di senile età (molto simpatico era il cartello comparso in una di queste manifestazioni con su scritto “Sardina vecchia fa buon brodo”) fanno pensare ad una ricerca di una nuova forma della politica stessa, ad una ricomposizione dei valori costituzionali sotto un nuovo stellone italico, che non veda più su di sé le ombre della politica compromissoria del palazzo, ma la luce delle piazze, di rivendicazioni semplici, senza alcuna connotazione di classe, senza alcuna appartenenza, colore, bandiera, eppure comunque elemento di partecipazione democratica.
Le piazze farebbero pensare a tutto questo come a qualcosa di profondamente innovativo, ad una rinascita della consapevolezza del “dover fare“, quindi il recupero di una precisa connotazione civica della popolazione, impegnata nel radunarsi a migliaia per contrastare l’inquietante fenomeno del sovranismo che non si è smentito nemmeno ieri nella seduta della Camera dei Deputati in cui si parlava del MES (il “Meccanismo europeo di stabilità” detto anche “Fondo salva-Stati“).
La gazzarra indegna scatenata dalla Lega era proprio degna del peggiore sovranismo muscolare, quello che dalle parole concitate e virulente dei comizi passa poi ai fatti anche oltrepassando i più rigidi protocolli di Montecitorio e, più che altro, la necessaria disposizione ad un dialogo e ad una dialettica verbale che dovrebbero rimanere tali e non trasformarsi mai in rissa.
Cattivo esempio per le due scolaresche che ieri erano in visita al Parlamento per seguirne i lavori e trarne una lezione di educazione civica. Uno scenario non dissimile a quello che mi ha riportato alla mente l’aggressione contro Mauro Paissan durante un dibattito sulla RAI (eravamo ai tempi del primo governo Berlusconi e la maggioranza era formata anche dalla fu Alleanza Nazionale che, in quel caso, si scatenò davanti ai banchi dell’esecutivo provando a menare le mani e ricevendone anche qualche risposta): un concepire la fisicità come elemento di messa a tacere delle opinioni altrui. Fascismo, in poche parole, quindi tutto tranne che idee. Solo violenza, sopraffazione, prevaricazione nerboruta.
Non c’è dunque dubbio che il sovranismo rappresenti un pericolo per la democrazia repubblicana, per la stabilità istituzionale e vada fermato. Ma quando si prova a fermare un pericolo bisognerebbe avere la consapevolezza di non farlo tramite il pericolo minore, il cosiddetto “meno peggio“.
Dalle leggi elettorali fino ai governi, dalla formazione di posticce maggioranze fino alla ricomposizione di altrettanto improvvisate minoranze ed opposizioni, abbiamo assistito in questi anni, soprattutto nell’ultimo presente 2019, ad una manipolazione della forma democratica della Repubblica proprio provando ad intervenire laddove si formano le leggi, dove si concretizza (o dovrebbe concretizzarsi…) la delega popolare ai rappresentanti della nazione: il Parlamento.
E’ naturale che lo spontaneismo delle sardine si rivolga con spregio a questo tipo di politica e che rifugga “i partiti” che l’hanno rappresentata. Meno comprensibile, anzi irricevibile è una accomunanza generalizzata, un fare di tutta l’erba un fascio escludendo dalla partecipazione di piazza chiunque sia espressione di un partito e voglia trovarsi in piazza con quella identità, senza modificare l’altrui, senza provare ad egemonizzare chicchessia.
Poi, però, letto sui manifesti e sui proclami delle sardine che sono vietati simboli e colori politici, che sono ammesse solo le sardine e i cartelli che le rappresentano in mille forme e cromature, spuntano i video dei cosiddetti “portavoce” delle sardine stesse: in alcuni di questi si fa riferimento al voto in Emilia Romagna e non lo si fa affermando che bisogna avere consapevolezza del pericolo sovranista da arginare. Lo si fa aprendo addirittura le cosiddette “convention elettorali” del candidato del centrosinistra. Per esempio a Modena, con le seguenti parole che citiamo testualmente:
“Siamo scesi in piazza insieme ad altre 6.000 persone per manifestare il nostro dissenso. Vorrei prendere le parole che ha usato Mattia a Reggio Emilia: è stata bellissima la partecipazione che c’è stata, però è fondamentale che queste persone che si sono presentate e continuano a presentarsi in piazza facciano sentire la loro voce il 26 gennaio. Come ben sapete, in molte regioni d’Italia si voterà, tra cui il 16 gennaio in Emilia Romanga e ci sarà da fare una scelta: da una parte troviamo l’attuale presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, che insieme alla sua amministrazione ha svolto un lavoro importantissimo, un lavoro che ha posto l’Emilia come una delle regioni non solo più ricche e col tasso di disoccupazione minore in Italia e in Europa.
Quindi c’è da migliorare, abbiamo fatto tantissimo e facciamo in modo che questo progetto continui. Dall’altra parte abbiamo la Borgonzoni…“.
Secondo il dizionario Treccani della lingua italiana, alla voce “endorsement“, nel terzo significato della parola inglese usata comunemente anche nella nostra parlata quotidiana, si legge: “In politica, sostegno esplicito a un candidato, a un movimento o partito, a un’iniziativa, dato di solito tramite una dichiarazione ufficiale.“.
Direi che quello di Modena rientra in questa casistica. Tutto legittimo, per carità di patria, anzi di regione. Però, nel momento in cui si vietano le appartenenze politiche in piazza, nel momento in cui gli organizzatori decidono che quelle piazze sono “apartitiche“, nello stesso momento, quindi senza soluzione di continuità in questa che si annuncia una dura campagna elettorale per l’Emilia Romagna, si va ad una iniziativa del candidato del centrosinistra e lo si sostiene apertamente, mostrando entusiasmo per la gestione amministrativa di questi anni e dicendo apertamente che non c’è alternativa, che o si vota Bonaccini o la Borgonzoni. Tertium non datur.
Invece, magari una alternativa esisterebbe anche, forse però non viene presa in considerazione perché appare minimale, piccola, impossibile competitor con la Lega di Salvini: Stefano Lugli e L’Altra Emilia Romagna, quindi la lista di sinistra che ha scelto di correre fuori dagli schemi tanto delle opposizioni di destra (ovviamente!) quanto da quello della maggioranza governativa (con l’incognita Cinquestelle sempre presente…) tradotti sul piano locale, sono fuori contesto.
Alle sardine interessa sostenere non un programma sociale, politico, culturale e persino civico. Interessa sostenere soltanto chi può battere Salvini. Ma a che prezzo? Perché le sardine non dicono che il centrosinistra sostiene, ad esempio, l'”autonomia differenziata“, quindi la logica particolaristica della rottura della solidarietà nazionale, consentendo alle regioni più ricche di spendere le proprie risorse per sé medesime “senza chiedere un soldo di più allo Stato“.
Un tema sostenuto a piena voce dalla Lega in Veneto ed in Lombardia. Un tema che finirebbe per minare le basi dell’unità della Repubblica, perché innesterebbe un circuito perverso secondo cui non si fa capo ad una redistribuzione delle risorse sulla base dell’interesse specifico, ma si consente di trattenere le imposte e quindi di creare servizi differenti per i cittadini a seconda del grado di ricchezza (o di povertà) delle regioni in cui si trovano a vivere. Le regioni più benestanti avranno, ad esempio, migliori ospedali, quelle meno abbienti si accontenteranno della loro miseria, visto che lo Stato non potrà a quel punto intervenire per dire: “Cara Emilia Romagna, cara Lombardia, caro Veneto, siccome una parte del Paese sta meno bene rispetto a voi, tutti dobbiamo farci carico di ristabilire un equilibrio sociale degno di sorta e che non svantaggi alcun cittadino e che non crei quindi persone di serie A e persone di serie B in quanto a diritti sociali (oltre che civili)“.
Già in questo specifico caso, votare centrosinistra significa essere alternativi alla destra di Borgonzoni e Salvini?
Non basta, care sardine, scendere in piazza a migliaia per contrastare la Lega senza una visione di insieme della società. Alcuni dicono: “Sono giovani, lasciate che imparino, che sbaglino anche“. Alleggeriamo un po’ la critica: basta soltanto citare il maestro Yoda ne “Gli ultimi Jedi“, per affermare che: “Grande maestro il fallimento è“.
Ma possiamo ancora fallire? Non ha imparato nulla chi ha sostenuto in tutti questi anni il PD e il centrosinistra pensando di fermare così il centrodestra? Possiamo ancora ripetere gli errori del passato, tornare a fidarci del “meno peggio” per sconfiggere il peggio? La (il)logica del “meno peggio” non ci condurrà mai ad ottenere il “meglio“. Ci trascinerà sempre più a fondo. Ed infatti, ad oggi, siamo a fronteggiare delle destre mai viste dal dopoguerra ad oggi, tenendo in opportuna considerazione tutti i mutamenti occorsi nello scenario internazionale, che hanno avuto un riflesso nel contesto italiano, certamente. Ma si tratta pur sempre di un viatico aperto da politiche liberiste fatte da una sinistra che si è detta tale mentre faceva il lavoro che spetta alle destre sul piano economico.
Può questa logica avere un minimo aggancio sociale da qualche parte, essere foriera di uno sviluppo coscienzioso di una nuova rivolta popolare contro le ingiustizie o invece si ferma sulla soglia della protesta che intende salvaguardare l’aspetto democratico della Repubblica senza tenere in conto la giustizia sociale?
Sandro Pertini, a ragione, sosteneva che senza giustizia sociale non può esistere la libertà. Ecco, scendere in piazza, reclamare libertà, felicità, famiglie da Mulino Bianco, espungendo da ogni discorso colori politici come il rosso di una Emilia Romagna che, come il resto d’Italia lo confonde come emblema di una sinistra che non è più sinistra, che ha tradito i valori dell’eguaglianza per gettarsi tra le braccia del mercato, del liberismo e del profitto privato, è civicamente lodevole ma rimane politicamente miope come azione se non produce un cambiamento radicale, sociale, drastico rispetto all’alternanza tra PD e Lega.
Entrambi sono parte del problema, non sono la soluzione. Le sardine possono evitare di stare in padella e possono evitare anche di cadere nella brace. Basta solo accorgersi delle somiglianze tra coloro che ad oggi, alternandosi a Palazzo Chigi, hanno svolto un ruolo antisociale e hanno portato il Paese verso quell’odio che va combattuto ma non abbracciando il liberismo.
MARCO SFERINI
28 novembre 2019
Foto di Mikel DLM Fotografía da Pixabay