Sale a 14 il numero di detenuti morti in seguito ai disordini che per tre giorni sono scoppiati in gran parte degli istituti penitenziari italiani dopo la sospensione dei colloqui con i parenti e con i volontari disposta dal Ministro di Giustizia per scongiurare l’epidemia da Coronavirus. Tutti, secondo la versione ufficiale, sono morti per intossicazione da metadone e/o psicofarmaci rubati dagli ambulatori durante i disordini. Gli ultimi due deceduti, ieri, erano reclusi al Dozza di Bologna, mentre uno dei rivoltosi di Rieti versa in gravi condizioni «per aver ingerito benzodiazepine sottratte all’infermeria». Ieri c’è stata anche una nuova protesta nel carcere di Firenze, dove un agente è risultato positivo al test del Coronavirus. Ma di tutto questo non ha parlato il ministro Alfonso Bonafede. Il Guardasigilli, chiamato a riferire nelle Aule semivuote del Senato prima e della Camera poi, si è limitato ieri a un riassunto scarno e superficiale dei fatti ormai noti, e neppure aggiornato.
La sua è stata un’arringa difensiva dell’operato delle forze dell’ordine e di se stesso, che ha lasciato senza risposte ogni interrogativo, sia riguardante quelle incredibili morti, sia posto dagli agenti e dagli operatori penitenziari preoccupati per la situazione incandescente, sia concernente le possibili soluzioni per evitare il peggio nelle ormai sature celle.
Il ministro di Giustizia, che promette una relazione scritta nelle prossime ore, parla di «40 agenti feriti», «12 detenuti morti per abuso di sostanze sottratte alle infermerie», «16 evasi ancora latitanti a Foggia», un carcere, quello di Modena, praticamente distrutto e «gravi danni strutturali» causati da veri e propri «atti criminali», commessi comunque da «una ristretta parte di detenuti». Minoranza ma sempre relativa, stando ai numeri snocciolati da Bonafede che stima in 6 mila (il 10%) i rivoltosi («molti meno» invece, per esempio, secondo la radicale Rita Bernardini, che conosce le carceri italiane come pochi altri). Ma il ministro avverte: «Lo Stato non indietreggia di un centimetro di fronte all’illegalità» (e il Partito Radicale ricorda che è lo Stato ad essere illegale, nelle carceri, come dimostrano le numerose sentenze europee).
Bonafede non parla certo di regia unica nazionale dietro alle rivolte, ipotesi a cui non crede praticamente nessuno fuori dalla cerchia dei terrapiattisti, e dribbla pure sulle «responsabilità di un sistema strutturalmente fatiscente» che attribuisce ad «un disinteresse per l’esecuzione della pena accumulato nei decenni». Per quanto lo riguarda, ricorda di aver «previsto 2548 agenti in più, di cui 1500 già in servizio». Ma il «sovraffollamento», peggiorato per via della distruzione durante le rivolte di parte delle strutture e di 2 mila posti letto (secondo il Garante dei detenuti), e a causa della necessità di isolare alcuni detenuti a rischio contagio, continua ad essere parola tabù.
In Parlamento le opposizioni reclamano il pugno duro contro i violenti, l’intervento dell’esercito e «pene esemplari». Ma c’è anche chi guarda la luna, non il dito: «Il capo del Dap per senso delle Istituzioni avrebbe già dovuto rassegnare le proprie dimissioni ma siccome è ancora al suo posto chiediamo a lei ministro di rimuoverlo», interviene Italia viva. Anche Pietro Grasso, di Leu, attacca Francesco Basentini per evidenti «ritardi, indecisioni, balbettii, carenza di informazioni, assenza ingiustificabile». E il Pd, pur non chiedendo «la testa di nessuno» sollecita «chiarezza» su quanto accaduto.
Tanto più perché, come ammette lo stesso ministro, solo ieri è iniziata la distribuzione di 100 mila mascherine all’interno dei carceri. Acqua fresca, naturalmente. «Cosa succede se un detenuto si ammala? Chi lo soccorre, visto che le ambulanze non possono entrare?», chiedono i sindacati di polizia.
Per fortuna c’è chi, come il Tribunale di sorveglianza di Roma, ha disposto «una licenza di quindici giorni per tutti i detenuti in semilibertà, che quindi non avranno più necessità di rientrare in carcere la sera», riferisce il Garante del Lazio, Stefano Anastasia. Misure come queste sono allo studio della task force istituita dal Guardasigilli che si muove su due ipotesi per alleggerire la pressione esplosiva delle celle piene oltre il 120%: la detenzione domiciliare per i “semiliberi” e la liberazione anticipata speciale di coloro che hanno ancora da scontare poche settimane o mesi.
ELEONORA MARTINI
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