MODELLI CLASSICI DEL COMPORTAMENTO POLITICO
IL MODELLO RAZIONALE
Secondo l’approccio della teoria della scelta razionale, gli uomini sono in grado di utilizzare correttamente le regole della logica, calcolare le inferenze deduttive, applicare la teoria della probabilità, ordinare le loro preferenze in maniera coerente. Il nucleo di questo teoria, sistematizzata a meta del 900 ma presente già addirittura nell’Etica Nicomachea di Aristotele, consiste in una idea centrale: gli elettori si impegnano in una seria di calcoli logici e razionali al fine di scegliere il politico o il partito che presenta posizioni programmatiche più vicine a loro. Gli agenti si comporterebbero nel contesto politico come in quello economico: perfettamente razionali, mirando a massimizzare la loro utilità.
L’aspetto razionale della massimizzazione sta precisamente nell’utilizzo ottimale dei mezzi per raggiungere obiettivi conformi alle scelte personali in un mondo di risorse limitate.
Poiché si suppone che ciascuno sia in grado di giudicare quale sia il proprio interesse, il comportamento degli elettori consiste nell’essere in grado di calcolare il differenziale di partito, cioè la differenza tra i livelli di utilità che otterrebbero in caso di vittoria, con il fine di votare il partito che garantirebbe loro i maggiori vantaggi.
Particolare importanza per l’esito della decisione politica sarebbe la valutazione che ciascuno dà alla propria condizione economica, in riferimento al miglioramento o peggioramento di questa nel breve periodo. Tale giudizio incide considerevolmente nella decisione di mantenere la fedeltà al proprio partito o di cambiare. Qualora il soggetto agisse in condizioni di incertezza in riferimento a variabili su cui non può avere contezza, è considerato razionale il formarsi di credenze riguardo la probabilità che si realizzi uno stato di cose piuttosto che un altro, scegliendo il corso di azioni che massimizzerebbe la sua idea di utilità attesa.
Nei modelli di scelta razionale le preferenze sono date, cioè non si avanza alcuna ipotesi sulla loro formazione. Il compito dello studioso si limita quindi a registrare le preferenze dei cittadini senza analizzare il processo cognitivo della formazione delle preferenze politiche stesse. Gli assunti tipici dell’homo oeconomicus, interessato principalmente al benessere materiale, sono trasferiti interamente nel soggetto politico. Sono esclusi quindi dall’analisi fini collegati a motivazioni valoriali o ideali, non tenendo conto dell’intera personalità né del modo in cui ogni momento della nostra vita è intimamente legato alla sfera emotiva.
Secondo questa teoria un cittadino razionale decide il proprio voto in questo modo:
A) individua il differenziale fra i partiti in base al confronto tra il flusso di reddito-utilità derivante dall’attività di governo in carica ed i flussi che, a suo avviso , avrebbe ricevuto se al potere ci fossero stati altri partiti;
B) in un sistema bipartitico vota quindi il partito che preferisce mentre in un sistema multipartitico valuta anche quelle che ritiene siano le preferenze degli altri elettori.
Per cui:
1) se il partito ha una ragionevole probabilità di vittoria voterà per esso;
2) se il partito sembra non avere probabilità di vittoria, voterà per un altro partito con ragionevole probabilità di vittoria alfine di evitare la vittoria del meno preferito;
3) un elettore orientato al futuro potrà votare per un partito senza probabilità di vittoria alfine di garantirsi maggiori alternative prossime.
Questo è il modo in cui un elettore razionale si comporterebbe in un mondo di informazione completa e senza costo. Tuttavia l’incertezza sul reale corso degli eventi e la mancanza di informazione impediscono anche all’elettore più intelligente e consapevole di comportarsi nel modo descritto.
Essendo molto irrealistico che gli agenti abbiano una conoscenza completa di tutta l’informazione necessaria per prendere una decisione, il modello razionalista rimpiazza tale assunto con l’analisi dei costi-benefici secondo la quale gli individui raccoglierebbero la quantità di informazione ottimale che permetterebbe di calcolare l’utilità massima attesa e raggiungere così un giudizio, sia attraverso le ideologie, intese come visione che ogni partito ha della società, sia nel corso dello svolgimento delle attività quotidiane non strettamente politiche ad esempio quando si ha a che fare con la microcriminalità, con il sistema sanitario o scolastico.
Questo approccio in termini di calcolo costi-benefici può addirittura avere effetti stravaganti, in cui essere molto bene informati in politica diventa irrazionale, in quanto bisogna tenere conto del ruolo infinitesimale che il cittadino gioca nel decidere di una elezione.
I benefici dal recarsi alle urne non saranno molto superiori allo zero nel senso che è infinitesimamente bassa la probabilità che il voto individuale risulti decisivo per l’elezione di un candidato e che l’eventuale elezione del candidato sia poi sufficiente per l’approvazione di politiche desiderate. Essendo molto bassi i rendimenti che derivano dal voto personale, elettori razionali si potrebbero astenere dall’acquisire informazioni politiche evitando anche di recarsi alle urne ; siamo al paradosso del voto.
In conclusione, questo modello oltre ad essere molto esigente circa capacità e comportamento sembra essere in difficoltà nel rendere conto di comportamenti addirittura basilari in democrazia quali ad esempio il recarsi alle urne. Sembra esistere un rapporto inverso tra la complessità dei comportamenti politici e la capacità esplicativa dei modelli costruiti su drastiche semplificazioni del calcolo meramente razionale.
I MODELLI EMOTIVI
Vi sono paradigmi diversi da quello razionalista, la peculiarità dei quali consiste in un approccio empirico e induttivo basato su una grande mole di dati generalmente raccolti attraverso la somministrazione alla popolazione di questionari e interviste. L’obiettivo è quello di indagare l’effettivo comportamento elettorale e politico.
Il primo modello di tipo impulsivo ha un approccio sociologico. La relazione tra elettore e partito non è descritta attraverso la corrispondenza tra gli interessi dei gruppi sociali e le proposte programmatiche dei partiti bensì attraverso il ricorso agli aspetti simbolici quali l’appartenenza dell’elettore a gruppi sociali e l’orientamento politico familiare. E’ possibile così dedurre che le scelte dei cittadini possano fare leva sulle loro predisposizioni latenti piuttosto che rispetto ai programmi dei partiti in base alle esigenze del territorio.
La predisposizione latente implica una certa stabilità dell’atteggiamento nei confronti della politica. Si tratta di una stabilità non motivata da basi razionali bensì dovuta a fattori affettivi e relazionali. Le affiliazioni familiari o ad un particolare gruppo sociale sono plasmate durante una precoce socializzazione politica e tramandate da generazione in generazione.
Ad esempio inclinazioni affettive verso il razzismo o il nazionalismo si sviluppano già nell’infanzia in maniera molto elementare e col passare del tempo possono acquisire notevole solidità oltre ad avere una grande influenza sulle valutazioni elettorali e politiche in genere.
La stabilità delle predisposizioni latenti e quindi delle opinioni degli elettori può essere spiegata dal fatto che essa costituisce una importante fonte di soddisfazione per gli individui nei loro contatti col gruppo, riducendo al minimo i conflitti con la famiglia, col loro ambiente sociale, e preservando sentimenti di sicurezza individuale. Queste tendenze individuali sono rafforzate dai processi di gruppo: grazie all’appartenenza gli individui condividono atteggiamenti ed esibiscono tendenze selettive simili.
Oltre a definire le predisposizioni latenti , questo approccio mette in luce come gruppi sociali differenti votino in modo diverso. Le preferenze politiche si possono approssimativamente predire sulla base di due caratteristiche : lo status socioeconomico e l’appartenenza etnica che include quella religiosa.
L’elettore non fa più solo riferimento alla sua esperienza e agli interessi personali ma risponde anche e soprattutto all’evocazione simbolica e impulsiva di questioni che vengono richiamate dai politici e dai partiti e che lo riguardano come appartenente ad un determinato gruppo, sia esso famiglia o classe sociale.
Il risultato delle predisposizioni latenti, pressioni sociali e propaganda politica è il cristallizzarsi delle opinioni e del voto concreto.
Il processo di attivazione delle predisposizioni latenti consiste in tre fasi e presenta una caratteristica trasversale: nella prima fase la propaganda fa aumentare l’interesse alle vicende politiche, nella seconda , una volta che l’interesse è stato risvegliato, i cittadini raccolgono nuova informazione in maniera autonoma, nella terza, gli elettori avranno raccolto stimoli sufficienti a prendere una decisione di voto che rappresenta in realtà l’espressione manifesta di affiliazioni sociali sottostanti.
L’elemento che sembra caratterizzare l’intero comportamento sta nella tendenza da parte degli elettori di selezionare le informazioni in linea con le loro predisposizioni latenti. La sua attenzione selettiva rinforza tali predisposizioni con le quali ha fatto ingresso nella campagna elettorale.
E’ stato registrato anche un effetto di conversione cioè il passaggio da un partito ad un altro particolarmente in individui in cui operano pressioni incrociate. Si tratta di individui con predisposizioni preesistenti contraddittorie.
Nella nostra società complessa gli individui non appartengono ad un solo gruppo ma hanno una ampia gamma di affiliazioni sociali: classe e ceto sociale, gruppo etnico, gruppo religioso, associazioni informali: l’elettore deve decidere quale lealtà nei confronti dei suoi gruppi sia prioritaria. Infine sembra esserci una correlazione fra l’aumento delle pressioni incrociate e il declino dell’interesse per le elezioni: poiché l’effetto di attivazione porta alla luce predisposizioni in conflitto tra di loro, l’elettore non è in grado di mettere in grado un efficace meccanismo di selezione e così rinuncia ad esprimere il voto.
Il secondo modello di tipo emotivo, ha invece un approccio psicologico per il fatto che il concetto di identificazione ad un partito si struttura attraverso il legame affettivo e istintivo tra elettore e partito il quale rappresenta una sorta di filtro tra cittadino e fatti politici.
Per cui se da un lato abbiamo l’immagine di un attore politico spesso disinformato , se non ignorante circa le questioni politiche e il funzionamento delle istituzioni e propenso a formulare giudizi incoerenti e frammentari, dall’altro nella concorrenza di voci che raggiungono l’individuo, il partito è un’importante agenzia di formazione delle opinioni che rivela la poca autonomia dell’elettore. Generalmente questo legame è una identificazione psicologica che può persistere senza una iscrizione formale e un consistente supporto al partito.
Quando un partito indica un leader politico aspirante ad una carica , il mero associare il suo nome al partito spinge coloro che si identificano con esso a sviluppare una più favorevole immagine delle sue abilità e dei suoi attributi. Allo stesso modo , questa associazione incoraggia i sostenitori del partito opposto ad avere una visione meno favorevole di quelle stesse caratteristiche personali. Secondo questo approccio, la familiarità dei cittadini con i temi e problemi politici è molto bassa per cui si tende a sopravvalutare l’impatto che i problemi contemporanei hanno sul pubblico.
Affinché un tema possa essere decisivo per la scelta elettorale, deve essere posto e accompagnato dalla posizione dei partiti piuttosto che da quella degli elettori, una sorta di catalizzatore politico posto dalle élite (ad esempio problemi dell’immigrazione, reddito di cittadinanza etc). Da ciò deriva una visione sostanzialmente pessimistica delle virtù civiche dei cittadini e del ruolo della riflessione ragionata e un importante passo verso la derazionalizzazione del modello di elettore e attore politico.
Nonostante l’innalzamento diffuso del livello di istruzione , il grado di informazione politica è rimasto stabile negli anni. E’ probabile che ciò dipenda dal fatto che la conoscenza specifica delle istituzioni politiche sia concettualmente differente dall’istruzione e dal fatto che la qualità dell’informazione presente nei dibattiti non abbia registrato particolari miglioramenti.
E’ difficile che le opinioni politiche abbiano una coerenza, ordine e completezza quando la conoscenza politica è lacunosa. La realtà è che l’instabilità e le contraddizioni costituiscono la norma piuttosto che l’eccezione all’interno dei sistemi di credenze degli elettori, i quali, attraverso vari catalizzatori politici anche contraddittori tra loro, sempre vissuti emotivamente, passano con disinvoltura da posizioni progressiste e conservatrici e viceversa.
A questi due approcci empirici classici se ne aggiunge un terzo a partire dagli anni 70; il legame tra elettore e partito entra in crisi in tutte le democrazie occidentali dove vi è un aumento del numero degli elettori non legati ad una organizzazione politica e fluttuante da una elezione ad un’altra.
Si assiste inoltre ad un calo di fiducia nei partiti prevalentemente tra le generazioni più giovani mentre i mass media diventano una fonte sempre più influente per la formazioni delle opinioni politiche ed elettorali. I meccanismi tradizionali caratterizzati dalle predisposizioni latenti e dalla identificazione di partito si indeboliscono e vengono affiancati da dinamiche nuove dominate dalla televisione, il cui successo sta anche nella capacità di semplificare l’ambiente di scelta dei politici.
La tesi dei cosiddetti effetti minimi dei media sul voto non è stata messa in discussione fino agli anni 70, quando un sempre numero maggiore di cittadini ha cominciato a guardare la televisione e soprattutto a definirla come la principale e più attendibile fonte di informazione, diventando progressivamente una delle principali basi della rappresentazione del mondo in particolare riguardo le vicende politiche e gli avvenimenti pubblici.
Affinché una campagna basata sui mass media abbia effetto ci vogliono elettori in condizione di indecisione. L’indecisione incoraggia i soggetti ad esporsi ai giornali, alle radio e soprattutto alle televisioni.
Un primo rilevante mutamento riguarda la progressiva sostituzione del partito col candidato. Questa evoluzione è dovuta al fatto che fra i tre elementi politici principali che dovrebbero essere comunicati in una campagna elettorale – partito, candidato, tematiche – per il sistema televisivo il candidato è certamente il più facile da comunicare. La televisione diffonde soprattutto ciò che può essere visualizzato in immagini: non i partiti e le coalizioni, non le idee e i programmi ma appunto le persone dei politici.
Televisioni e leader svolgono così una importante lavoro di riduzione della complessità per i cittadini personalizzando eventi ,temi, problemi, rendendoli più accessibili. Inoltre la psicologia sociale ha mostrato come gli individui, nel processo di formazioni delle impressioni, tendano ad utilizzare indizi e scorciatoie in grado di far risparmiare la fatica legata alla ricerca di informazioni più precise e complete: il viso viene utilizzato come una traccia e succede che venga impropriamente usato come fonte di inferenze sulla personalità.
A persone con aspetto piacevole viene attribuita con più facilità una personalità simpatica e interessante, persone con lineamenti infantili vengono percepite come più oneste, sincere ma poco sicure di sé, mentre quelle con labbra e occhi sottili vengono percepite come più forti.
Nell’ambito della personalizzazione della politica si è anche andata a creare tra elettori e aspiranti leader una connessione nella quale i primi tendono a specchiarsi nei secondi. Modi di vestire, estroversione, semplicità, vengono considerate caratteristiche rilevanti come se il mostrarsi uno del popolo fosse poi consequenziale a politiche più recettive nei confronti dei cittadini.
L’inferenza, dedotta in forma inconscia e emotiva, è elementare ma ha partecipato al successo di molti leader anche se la maggior parte erano per estrazione sociale molto lontani dal cittadino medio. La proprietà del voto personalizzato di evocare sensazioni di tipo non argomentativo e razionale ma soprattutto istintivo ed emotivo non sostituisce ma si sovrappone alla identificazione di partito e alle sue dinamiche latenti e affettive.
Si è poi anche notato come nel corso del tempo, gli elementi posti in maggior rilievo nell’agenda dei media acquisiscano la stessa importanza nell’agenda del pubblico. Risultati empirici e metodo sperimentale registrano in maniera chiara la correlazione fra il genere di informazioni trasmesse dai mass media e ciò che il pubblico ritiene più importante anche se rimane il dubbio che si tratti un rapporto di causa/effetto.
Se è possibile che le televisioni condizionino le opinioni dei cittadini, allora è altrettanto plausibile che siano le opinioni dei cittadini a spingere ad approfondire determinati temi a scapito di altri con l’obiettivo di rispettare al meglio il gusto del proprio pubblico con le relative ricadute economiche positive per il broadcast.
In un contesto invece in cui la scarsa preparazione, razionalità e lacune dei cittadini siano molto evidenti, i mass media mostrano la capacità di saper focalizzare l’attenzione dei cittadini non solo su un certo tema ma anche sul come pensarlo. Ciascuno degli oggetti del discorso politico ha attributi, proprietà e caratteristiche che ne compongono l’immagine.
E’ chiaro che la selezione di certi attributi e non di altri per pensare questi oggetti, esercitino un certo effetto sugli elettori. Questa selezione che incornicia fatti ed eventi all’interno di una determinata prospettiva, contribuisce a definire un fatto agli occhi del pubblico, non solo richiamando l’attenzione su un certo tema ma di fatto suggerendo interpretazioni e giudizi sulle cause, sulle responsabilità e sulle soluzioni di una questione politica.
LUCA PAROLDO BONI
già professore alla Saint Petersburg State University (L.G.U.)
29 settembre 2021
PRIMA PARTE: CAPIRE COME VOTIAMO – INTRODUZIONE – LE AVVENTURE DEL NOSTRO VOTO
TERZA PARTE: CAPIRE COME VOTIAMO – LA POLITICA IN LABORATORIO
QUARTA PARTE: CAPIRE COME VOTIAMO – UNA CERTA IRRAZIONALITA’ DELLA POLITICA
QUINTA PARTE: CAPIRE COME VOTIAMO – LA POLITICA E NUOVI MASS MEDIA