Tra il ginepraio del caso Sala e la scossa provocata dagli annunci di Bloomberg sulle trattative per Starlink, era inevitabile che intorno alle dimissioni di Elisabetta Belloni dalla direzione del Dis, il dipartimento che coordina e controlla l’intelligence, fiorisse una intera serra di illazioni. In realtà la decisione dell’ex alta funzionaria del ministero degli Esteri nominata dall’allora premier Mario Draghi direttrice generale del Dis nel 2021 era già stata presa, anche se il pasticcio del caso di Cecilia Sala, la giornalista in carcere in Iran, ha fatto la sua parte.
Una volta uscita la notizia, la dimissionaria si limita a confermare senza concedere nulla: «È un mia decisione. Ho già comunicato le mie dimissioni a partire dal 15 gennaio». Smentite anche le ipotesi di un imminente passaggio a Bruxelles, in veste di consigliera di Ursula von der Leyen.
Inutile bussare ad altre porte. La reticenza è identica: «Motivi personali». Si tratterebbe piuttosto di motivi relazionali, o meglio dovuti alle pessime relazioni tra l’alta funzionaria, che era stata anche candidata alla presidenza della Repubblica nel 2022, e che fino al 31 dicembre aveva ricoperto anche l’incarico di sherpa del G7, e due figure chiave del governo: il potente sottosegretario con delega ai servizi segreti Alfredo Mantovano e il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Nessuna ombra invece con la premier, che allo scadere del mandato di Belloni lo aveva prorogato per un anno. Sarebbe comunque terminato nel prossimo maggio: la direttrice ha anticipato di pochi mesi.
Oltre alle frizioni con Mantovano e Tajani, nella sempre più marcata insoddisfazione di Elisabetta Belloni ha certamente pesato la frustrazione per alcune mancate promozioni. Si era parlato di lei come possibile commissaria europea al posto di Raffaele Fitto, ma lì Meloni non ha mai avuto dubbi o esitazioni, e poi come possibile ministra degli Affari europei al posto proprio di Fitto. Sarebbe stato certamente l’incarico preferito da una funzionaria che ha alle spalle una lunga e brillante carriera alla Farnesina, coronata dalla nomina a segretaria generale degli Esteri, prima donna in quel ruolo, poi ambasciatrice di grado dal 2014 e capo di gabinetto alla Farnesina dall’anno successivo.
La vicenda dell’arresto di Cecilia Sala è stata però probabilmente determinante nella decisione, o almeno nella sua tempistica, della direttrice del Dis. Anche se, una volta presentate le dimissioni alla fine di dicembre, Belloni ha accettato di posticiparle di alcune settimane, fino a metà gennaio, su richiesta della presidente del consiglio.
Tra lei e Mantovano si sarebbe anche arrivati a un brusco scontro diretto, di quelli con i decibel alti. Belloni rimproverava al sottosegretario il pessimo funzionamento dei servizi nei primi giorni dell’affaire. Un po’ tutti, al governo, hanno in realtà fatto nell’occasione una pessima figura.
Il ministro degli Esteri non era al corrente di niente. Quello degli Interni è stato tenuto all’oscuro dalle manovre dell’Fbi che, diffidando tanto del governo quanto dell’intelligence italiana, avrebbe aggirato entrambi contattando direttamente le forze di polizia per chiedere l’arresto dell’ingegnere iraniano Abedini. A tutt’oggi non è chiaro quanto sapesse della faccenda il guardasigilli Carlo Nordio e quando sia stato informato.
Tra l’arresto dell’ingegnere iraniano Abedini a Malpensa, il 16 dicembre, e quello di Cecilia Sala a Teheran, il 19 dicembre, passano tre giorni nei quali nessuno si preoccupa di mettere al riparo gli italiani in Iran evidentemente a maggior rischio, come appunto la giornalista poi finita nel carcere dei Guardiani della Rivoluzione.
C’è di peggio. I servizi sarebbero stati informati dell’arresto di Cecilia Sala immediatamente già il 19, notizia confermata il giorno successivo. Nessuno però avverte il ministro della giustizia, che sottoscrive così, proprio il 20, la richiesta di arresto per l’iraniano. In una certa misura, dunque, le dimissioni ufficializzate ieri sarebbero davvero conseguenza del pasticcio combinato in quei tre disastrosi giorni.
La nomina del nuovo direttore del Dis dovrebbe arrivare in tempi celeri: in corsa ci sono alcuni funzionari o ex funzionari del Dis, come l’attuale vicedirettore Del Deo, il suo predecessore Valensise o il capo dell’Aise Caravelli. Qualcuno punta su Andrea De Gennaro, fratello di Gianni e comandante della Guardia di Finanza. In pole position però c’è il generale Mario Cinque, già candidato da Mantovano come comandante generale dei Carabinieri ma bloccato dal pollice verso di Crosetto. Il sottosegretario lo vorrebbe ora al Dis e una certa voce in capitolo ce l’ha.
ANDREA COLOMBO
foto: screenshot tv