Con la decisione di non ammettere il sub-emendamento sulla commercializzazione della cannabis light, cioè con principio attivo Thc inferiore allo 0,5%, la logica proibizionista assume caratteri paradossali, arrivando a colpire una pianta anche quando trattata biologicamente in modo da non causare alcun effetto stupefacente, neanche quelli blandi propri della marijuana. «Il comparto della canapa industriale non ha nulla a che vedere con gli stupefacenti o con gli aspetti ludici della cannabis», dichiara Stefano Zanda, direttore generale del Consorzio nazionale per la tutela della filiera e presidente di My Joint, una delle 1500 aziende italiane del settore in cui lavorano circa 12 mila persone.
L’allarme tra produttori e commercianti di cannabis light si è creato dal maggio scorso, quando una sentenza delle sezioni unite penali della cassazione aveva stabilito che la vendita di cannabis sativa sotto forma di foglie, inflorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione non rientra nell’ambito di applicazione della legge del 2016 che aveva previsto quello che Federcanapa definisce un «cuscinetto» di esenzioni di responsabilità per l’agricoltore nel caso in cui il controllo del tasso di Thc contenuto nella pianta fosse risultato superiore allo 0,2% ma inferiore allo 0,6. Le motivazioni della sentenza avevano spostato il focus della proibizione non sul Thc ma su un più generico «effetto» causato dalla sostanza. «Ciò che occorre verificare – sottolinea la cassazione – non è la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, bensì l’idoneità della medesima sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante».
Le destre erano andate a nozze con la decisione, alcuni negozi avevano chiuso per precauzione e investimenti e posti di lavoro avevano cominciato a traballare assieme alle nuove abitudini di consumo dei tanti che avevano trovato un modo per fumare o bere di tisane di marijuana in maniera legale. Matteo Salvini ieri è tornato alla carica, ringraziando la presidente del senato e addirittura dicendo di parlare «a nome di tutte le comunità di recupero dalle dipendenze e a nome delle famiglie italiane per aver evitato la vergogna dello stato spacciatore».
Dalla maggioranza protesta soprattutto Matteo Mantero del M5S, che fin dalla scorsa legislatura lavora sul tema delle droghe leggere e sulla marijuana senza Thc. Mantero rispedisce al mittente le illazioni di Salvini e auspica che si intervenga direttamente sul testo di legge che disciplina la coltivazione di canapa industriale. «Siamo molto dispiaciuti per la decisione presa e per il comportamento delle opposizioni che dimostrano estrema ignoranza in materia festeggiando con un applauso la cancellazione di questa norma. Le opposizioni che applaudono in aula festeggiano alla faccia gli agricoltori che lavorano in questo settore. Mi aspetto ora che la presidenza del senato metta in calendario alla prima seduta utile la richiesta di urgenza, sottoscritta da 50 senatori, di modifica del testo sulla canapa industriale».
Il Consorzio che riunisce gli operatori del settore ha calcolato che il volume di affari nel 2018 era stato di 150 milioni di euro per 2500 ettari coltivati a canapa. Ma le stime di crescita, proibizionisti permettendo, dicono che dal 2021 su scala europea si potrebbe arrivare a 36 miliardi di euro, visto l’interesse per la marijuana senza Thc manifestato da aziende della farmaceutica (la pianta mantiene un effetto rilassante), della cosmesi, dell’alimentare. E poi la canapa è molto più di una «droga»: ha una fibra molto resistente, per questo la sua coltivazione interessa all’industria del packaging, dell’edilizia e del design.
GIULIANO SANTORO
Foto di Julia Teichmann da Pixabay