Camusso: «Non ci fermiamo: pensioni più eque per tutti»

Verso il 2 dicembre. Susanna Camusso rilancia la mobilitazione: la Cgil in piazza perché il governo ha dimenticato i giovani e le donne, tradendo gli impegni già presi. Basta con i tagli sempre ai più deboli: le risorse si reperiscano rendendo il fisco realmente progressivo

Sulle pensioni il governo va avanti deciso e ieri ha presentato l’emendamento alla manovra che recepisce l’ultima proposta fatta al tavolo, rigettata dalla Cgil e accettata invece da Cisl e Uil: solo 14 mila esentati dall’aumento a 67 anni nel 2019, i dati dell’esecutivo confermano che la platea è molto ristretta, come aveva denunciato la stessa segretaria Cgil Susanna Camusso.

Che dal manifesto rilancia la mobilitazione del 2 dicembre e spiega che «il tema non è affatto chiuso». Cinque cortei – a Roma, Torino, Bari, Cagliari e Palermo – «per permettere la massima partecipazione e ribadire che è solo l’inizio, perché continueremo a mobilitarci».

Intanto avete avviato i colloqui con tutti i gruppi parlamentari. Confidate che sia possibile ottenere qualcosa nel dibattito sulla manovra?
Chiediamo che si faccia un passo avanti rispetto alla attuale situazione e che non si consideri chiusa la vertenza, sia nel dibattito parlamentare sulla legge di Bilancio ma poi anche successivamente.

Il ministro Padoan dichiara che lo schema approntato dal governo è «una scelta di sinistra» e che garantire la sostenibilità finanziaria è un modo di preoccuparsi dei giovani.
Al contrario, ritengo che quanto proposto dal governo sia un modo per non pensare ai giovani. Si sta dicendo loro che l’unico modo per garantire la sostenibilità finanziaria è non modificare il sistema attuale, in cui o fai parte di una élite che ha una carriera continuativa e ben retribuita o sei condannato a una pensione insufficiente per vivere dignitosamente. Noi chiediamo di ridefinire le regole per garantire un assegno sostenibile ai giovani e alle donne, temi che peraltro facevano parte del verbale sulla Fase 2 che avevamo redatto nel 2016. Per dare risposte ai giovani bisogna intervenire ora, venti o trenta anni prima. Credo si sia persa una grande occasione di cambiamento.

In effetti il tavolo sulla previdenza è durato due anni. Cosa vi ha fatto alzare alla fine?
Un clima che si è creato rispetto alle rappresentanze dei lavoratori. In qualsiasi azienda, quando non si ottempera agli impegni presi, il sindacato reagisce. Se nel settembre 2016 il governo si impegna a intervenire per costruire una pensione di garanzia per i giovani e valorizzare il lavoro di cura, a favore soprattutto delle donne, perché poi queste questioni scompaiono del tutto nel novembre 2017 e addirittura non si possono più neanche nominare? Guardavo i titoli dei giornali del 30 e 31 agosto scorsi: «Arriva la pensione di garanzia per i giovani», l’esecutivo aveva avanzato una proposta e si discuteva anche di abbassare la soglia dell’1,5 per potere accedere alla pensione di vecchiaia. Temi oggi spariti dal tavolo. Un sindacato a queste condizioni non può dire «sono contento», visto che si è registrata una retromarcia netta del governo rispetto agli impegni assunti.

Lo stesso avete lamentato per l’aumento a 67 anni.
Quando l’anno scorso si convenne sull’Ape social, lo facemmo perché nell’accordo era prevista una Fase 2 che uscisse dalla logica emergenziale e mettesse in ordine l’intero sistema con regole eque e universali. Invece siamo tornati alla logica delle deroghe per platee ristrette. E se nel contempo passa il messaggio che il meccanismo dell’adeguamento all’aspettativa di vita vale anche per le pensioni anticipate, vuol dire che progressivamente si vuole cancellare pure quelle. Intanto i pochi che si vedono applicare la deroga devono però passare da 20 a 30 anni di contributi: si sommano mille contraddizioni senza creare un sistema coerente, universale e davvero equo per tutti.

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ANTONIO SCIOTTO

da il manifesto.it

foto tratta da Wikimedia Commons

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