«Il decreto sui voucher è la prima nostra straordinaria vittoria: e adesso ovviamente aspettiamo la legge». La Cgil festeggia al teatro Brancaccio di Roma – attivo di 1500 quadri e delegati – ma non smobilita. E anzi la segretaria Susanna Camusso lancia la prossima sfida: «Dobbiamo riconquistare la tutela contro i licenziamenti illegittimi, non solo nelle grandi imprese». «Non ci fermeremo fino a che non avremo conquistato la Carta dei diritti universali. Il nostro obiettivo è quello», puntiamo «al ripristino dell’articolo 18».
C’è già un appuntamento di piazza, fissato proprio ieri: il 6 maggio, una manifestazione a Roma, ma questa volta non tra le vie patinate del centro, ma in periferia. Come era già avvenuto l’11 febbraio, a un mese dalla sentenza della Corte costituzionale sui tre quesiti referendari, con un lancio di palloncini dal quartiere di Tor Bella Monaca.
La CGIL per ora non pensa a un nuovo referendum, ma si attiverà su diverse strade. Come ha spiegato la segretaria confederale Tania Scacchetti aprendo l’attivo: «Non ci hanno convinto le motivazioni della Corte costituzionale che non ha ammesso il quesito sui licenziamenti illegittimi, ma lo accettiamo». «Non rinunciamo alla prosecuzione per via contrattuale e giudiziaria di questa battaglia – ha aggiunto – perché riguarda la libertà nel lavoro e l’equilibrio dei poteri tra lavoratore e impresa. E presto saremo in grado di depositare il reclamo collettivo della Cgil contro il contratto a tutele crescenti per il mancato rispetto dell’articolo 24 della Carta europea dei diritti sociali».
Si andrà a colpire al cuore, dunque, la riforma principe dell’era renziana: il contratto a tutele crescenti, l’indeterminato ultra light e senza una reale difesa dal licenziamento ingiustificato che ha sostituito il molto più solido articolo 18.
Camusso rivendica «l’orgoglio di essere riusciti a cambiare l’agenda del Paese, a condizionare la politica senza esserne condizionati: abbiamo raccolto tre milioni di firme, viaggiato per tutta Italia in due anni». E a chi accusa la Cgil di «ricattare il governo» – formula che «mi inorridisce», spiega la segretaria – replica che «non siamo disperatamente attaccati alla trasformazione in legge delle norme perché crediamo nella democrazia, e non abbiamo certo paura del ricorso alle urne, che noi stessi abbiamo richiesto».
Il referendum fissato per il 28 maggio per il momento rimane in piedi, ovviamente, e soltanto quando il Senato avrà approvato a sua volta la conversione in legge del decreto, dopo l’ok della Camera già incassato qualche giorno fa, la Cassazione potrà procedere a revocare la consultazione popolare. Visti i capricci dell’Ncd e i numeri risicati della maggioranza a Palazzo Madama, è probabile che il governo deciderà di porre la fiducia.
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ANTONIO SCIOTTO
foto tratta da Pixabay