Calenda, l’Incompatibile con un vero fronte progressista

Il participio futuro del verbo latino deleo, associato al verbo essere, per i romani antichi significava l’esigenza di distruggere. Ricordate Catone? «Carthago delenda est!». Quando si è persuasi del...

Il participio futuro del verbo latino deleo, associato al verbo essere, per i romani antichi significava l’esigenza di distruggere. Ricordate Catone? «Carthago delenda est!». Quando si è persuasi del fatto che un accordo con i propri nemici è più deleterio della guerra, si incita alla guerra e si fa di tutto perché questa prima o poi divampi. Sarebbe fin troppo facile giocare con il cognome del leader di Azione e, nemeticamente, riproporgli ciò che lui ha auspicato per il Movimento 5 Stelle dall’alto (si fa per dire) della tribuna del congresso nazionale del suo partito. Testualmente: «Noi non stiamo nel campo largo perché c’è il solito problema con l’M5s e l’unico modo per avere a che fare con l’M5s è cancellarlo».

Questo sarebbe l’approccio politico di un democratico di centro? Auspicare la messa al bando, la cancellazione in chissà quale modo o maniera di una forza politica è arroganza, spavalderia, protervia. L’impressione è che sia un tono da comizio di piazza e che Calenda sia scivolato sulle sue stesse parole. Però la presenza di Gorgia Meloni parla abbastanza chiaramente: il partito di centro tenta di stare con un piede nel centrosinistra e con l’altro di andare anche verso il centrodestra. Magari non in modo organico e, per questo, ricalcherebbe la poco nobile tradizione di un tracheggiamento tipico di quel ventre molle della politica italiana che è stato, da trent’anni a questa parte, proprio il centro.

Ciò che proprio non va giù a Calenda, ma pure ad altri centristi che si propongono come nuovi aghi della bilancia di un bipolarismo che non è poi così stabile come si può ritenere, è quella vena popolare che PD e Cinquestelle stanno riottenendo, pur tra molte contraddizioni, con le dirigenze di Schlein e Conte. I numeri parlano chiaro: non c’è alternativa possibile al centrodestra se i due partiti si separano e pensano di correre per conto loro, seppur con un contorno di alleati minori. Tanto meno Azione può pensare di rappresentare un terzo polo che, nei fatti, è franato dopo la prova teatrale dell’unità forzata tra Calenda e Renzi. Finita con reciproci insulti.

Nella fase più cruenta dell’emersione di una rivoluzione conservatrice su scala globale (Meloni, Trump, Milei, Orbán, neonazisti tedeschi, neofranchisti spagnoli e lepeniani, tra alti e bassi giudiziari), il centro veramente democratico dovrebbe collocarsi sul fianco di un progressismo anche moderato che escluda nuovi ricorsi a tentativi di governo di cosiddetta “unità nazionale“. Ed invece, il punto di approdo sembra proprio quello. Calenda sostiene di vedere in Paolo Gentiloni un premier ideale e quasi lo incorona nuovo Presidente del Consiglio nel dopo-Meloni. Un dopo che è difficile poter anche presupporre. Le avvisaglie di una crisi del fronte di maggioranza sono ancora troppo flebili.

La probabilità più accreditabile in questo senso è una rottura dell’asse governativo da parte della Lega sulle questioni internazionali: non tanto sulla spesa bellica nazionale, quanto semmai sul riarmo europeo in funzione antirussa. Cosa potrebbe accadere in quel frangente? Fantapolitica o meno, non è difficile immaginare che il soccorso centrista sarebbe l’unica opzione per impedire la caduta del governo che, a quel punto, con la formazione di una nuova maggioranza in cui destra e centro sarebbero diversamente equilibrati rispetto ad oggi, potrebbe avere l’appoggio anche dei renziani e, su questioni come quelle del riarmo, di +Europa e di una fetta molto moderata del PD.

Il congresso di Azione impensierisce oltre modo Forza Italia: la concorrenza al centro è temuta da un partito che non sarà mai post-berlusconiano (non fosse altro per il cognome del suo fondatore perennemente nel simbolo col richiamo alla leadership pressoché eterna) e che fa rilevare come la fedeltà dei partiti della maggioranza alla Presidente del Consiglio e al suo governo non è mai venuta meno nelle votazioni parlamentari. Fedeli alla linea anche quando la linea sembra non esserci più. Sostanzialmente è la guerra la discriminante su cui si giocano le partite bi-trilaterali tra le forze politiche italiane oggi. Il PD con il centro e con la sinistra moderata, Calenda e Renzi con il PD e con Forza Italia.

In termini calcistici si parlerebbe di triangolari, di tornei a squadre. Ma poi ognuno deve fare i conti con un regime del bipolarismo che non cessa di esistere perché la legge elettorale, alla fine della fiera, non permette il suo scardinamento se non in presenza di un terzo polo che sia di pari forza degli altri due e, quindi, competitivo sul piano della governabilità del Paese. Se la sinistra moderata ha perso l’opportunità e anche la capacità di attrarre un elettorato trasversale, mortificando il proprio con politiche che sono andate ben oltre il compromesso tra capitale e lavoro, la destra ritrova quasi sempre il minimo comun denominatore di un alleantismo utilitaristico, opportunista e, quindi, votato al governismo a tutto tondo.

Il PNRR era stata l’occasione della classe dirigente italiana di radunarsi attorno al mito draghiano come risolutore di tutte le problematiche post-pandemiche e pre-belliche. Oggi è il ReArm Europe a divenire l’ossessione prima di una competizione nella gestione delle risorse che verranno messe in campo in un tempo di guerra che si prospetta lungo perché ricostituente una fase di conservazione reazionaria utile alla preservazione dei privilegi di classe e, quindi, nettamente in opposizione alle rivendicazioni di un mondo del lavoro che ha qualche speranza di ritrovare alcuni dei propri diritti mediante la primavera referendaria. Anche su questo versante, Calenda e il suo partito non ci sentono proprio.

Liberistissimi, bellicisti, più filoatlantici degli stessi vertici della NATO, presi da un sacro furore della difesa di un Occidente che non esiste più nelle forme, nei modi, nella percezione davvero generale che si ha oggi del vecchio asse tra Stati Uniti d’America e Unione Europea. L’Oceano Atlantico è divenuto molto più ampio di prima e le due sponde che lo descrivono sono tanto, tanto più lontane di quanto le carte geografiche possano mostrare e dimostrare. Non c’è dubbio che Calenda guardi al vonderlaysmo piuttosto che al trumpismo. Ma quando lancia anatemi contro i Cinquestelle, qualche dubbio sorge spontaneo. Perché così facendo viene meno la reciprocità dei diritti politici, civili, civici nel più classico dei termini costituzionali.

È ammissibile qualunque aspra polemica tra le forze partitiche e tra i movimenti di maggioranza, di opposizione e dentro gli stessi schieramenti: ma non si può arrivare ad affermare che l’unico modo per aver a che fare con il M5S sia la sua cancellazione. Parzialmente corretto il tiro su questa frase, oggettivamente enorme nella sua enfatica proposta anatemica: cancellare quelle politiche populiste, pacifiste e disarmanti dall’agenda di un “campo largo” in cui, per questo, Azione non può stare. Ma la toppa è sempre peggiore del buco in questi frangenti. Se stiamo ai punti di contatto, alle convergenze, Schlein e Conte – fosse anche solo per una questione di opportunismi elettoralistici – ne hanno di più.

Ma il contesto in cui tutta questa miseria politica si tiene e propone le polemiche ad uso e consumo dei rimbalzi infiniti sui social è pur sempre un ambito internazionale da cui non si può prescindere. Calenda e Schlein non la pensano similmente sul riarmo europeo, ma sono concordi nel continuare a sostenere una guerra che è imperialista nel senso più stretto del termine: gli Stati Uniti di Trump si smarcano, per rivolgere la loro interessata attenzione verso il fronte asiatico, e rimane l’Europa a fronteggiare non l’esercito di Putin, bensì il tentativo russo di crearsi un nuovo spazio di egemonia strutturalmente economica in una parte del Vecchio continente.

Nella propaganda quotidiana delle forze politiche, tutto ciò viene rubricato a “lotta di resistenza” del popolo ucraino contro l’invasore russo. In realtà è la lotta della NATO contro Mosca e viceversa, per spartirsi nuove zone di influenza. Calenda può anche tentare, nei programmi dove si dibatte dandosi sulla voce, di tentare di far prevalere la propria affermando che è un compito occidentalissimamente democratico quello di sostenre la resistenza ucriana. Ma in realtà si sostiene, come è del tutto evidente, il riarmo dell’Europa a tutto spiano nel nome della difesa di interessi che non altro se non quelli dei grandi industriali, del profitto e del privatismo a tutti i costi.

Il problema, quindi, non è come possa Azione stare nel “campo largo“, ma come possa semmai una qualunque sinistra stare insieme a Calenda. Si potrà affermare che, già nel recente passato, le alleanze bipolari vedevano da un lato (ex)missini e leghisti filo-resistenti alleati nel nome di comuni interessi politici e di parte; così come si potrà dire che l’Ulivo e L’Unione contenevano tutto e il contrario di tutto. Verissimo. Nulla da eccepire in merito. Ma, proprio per questo motivo, sarebbe onesto ammettere che quei coacervi di posizioni così eterogenee e, spesso, dicotomiche, non hanno per niente funzionato e hanno spinto l’asse della politica italiana verso destra, svilendo le storiche lotte della sinistra e, non di meno, del centro moderato.

Se la situazione internazionale dovesse davvero peggiorare ulteriormente, se una guerra arrivasse alle porte dei nostri paesi europei, tutte queste differenze, che ancora oggi un po’ reggono all’urto degli anatemi calendiani, verrebbero spazzate via dalla urgente necessità dell’unità nazionale nel nome della salvezza della civiltà occidentale: benché nessuno sappia davvero cosa rappresenti, chi rappresenti, quale perimetro abbia sia sul piano culturale sia quello politico ed istituzionale. Non ci può essere dialogo con Calenda sulla corsa al riarmo, sulla necessità del disarmo. Ci può essere, invece con i Cinquestelle e con il PD: ed in questa direzione deve andare ogni sforzo della sinistra di alternativa per creare un fronte della pace senza se e senza ma.

Al disarmo, è evidente, corrisponde un necessario riferimento ad un internazionalismo di nuova portata che esige, nelle singole declinazioni nazionali e continentali, un recupero di politiche di giustizia sociale: pace, pane, lavoro. Tre cose che Calenda non rivendica se non in chiave iperatlantista e iperliberista. Le alleanze vanno coltivate e perseguite come obiettivo tattico, ma se devono diventare strategiche bisogna che abbiano una ratio anche ideologica e che, per questo, puntino ad un programma di più lungo corso, di più vasta portata. Azione può ancora essere compatibile col centrosinistra per le ambiguità che vive il PD in seno a sé stesso. Ambiguità che andrebbero risolte quanto prima.

Perché di una alternativa alle destre c’è urgentissimo bisogno, ma coi pastrocchi dell’eterogeneità anche basta…

MARCO SFERINI

1° aprile 2025

foto: screenshot ed elaborazione propria

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