Nella storia più recente non abbiamo mai attraversato una fase di smarrimento culturale e politico come quella che stiamo vivendo nel corso dell’ultimo decennio.
L’illusione che era stata creata valutando la caduta del muro di Berlino come il momento di partenza di un’infinita crescita armoniosa stride con la realtà della crescita delle disuguaglianze e il soffocamento delle istanze di giustizia sociale.
Per contrastare questo abbruttimento generale del quale abbiamo segnali evidenti tutti i giorni, può essere sicuramente importante recuperare un discorso riguardante le istanze fondamentali che hanno contraddistinto la storia della sinistra, almeno in Italia.
Senza voler alimentare alcuna nuova retorica e guardando al domani e non al passato questo ricordo allora è dedicato alle combattenti e ai combattenti delle brigate garibaldine sulle montagne, alle donne e agli uomini delle GAP e delle SAP nelle fabbriche e nelle città e ai 16.000 comunisti processati, tra il 1948 e il 1950, per scontri con la polizia in occasione di manifestazioni sindacali in difesa del posto di lavoro o di occupazione delle terre dei latifondisti.
Alla fine la Magistratura, all’epoca quasi tutta composta dai giudici di diretta derivazione già in attività durante il fascismo, emise condanne per circa 8.000 anni di galera.
Sullo sfondo di quelle vicende si trovano Portella della Ginestra, Melissa, Montescaglioso, Modena, stragi compiute dalla mafia e dalla polizia (Avola, Battipaglia, Ceccano sarebbero stati teatro di fatti analoghi in anni successivi fino al Luglio ’60 con i morti di Reggio Emilia).
“Le classi popolari sono diventate in un momento decisivo della storia nazionale e della vita dello Stato italiano protagoniste di questa vita e di questa storia.
Esse e non il vecchio ceto dirigente e privilegiato hanno organizzato e diretto la Resistenza, la Guerra di Liberazione, la riconquista di un regime di democrazia e di progresso.
Da questo dato di fatto parte e sopra di esso si fonda tutta la situazione del nostro paese. Ed è un dato che non muta, che conserva tutto il suo valore, nonostante le trasformazioni profonde che la situazione stessa subisce”.
(Palmiro Togliatti – dall’editoriale del primo numero di Rinascita trasformato da mensile a settimanale- maggio 1962)
Poche righe che dimostrano ancora adesso a tanti anni di distanza ciò di cui si è smarrito il senso; quanto è stato gettato via dalla folle rincorsa all’individualismo, al consumismo, all’idea della “fine della storia”, alla bramosia dello “sblocco del sistema politico” per accedere comunque al governo togliendoci di dosso tutto un passato giudicato ormai un fardello ingombrante e fastidioso.
In nome di un’indistinta “modernità”, di una subalternità ai modelli imposti dall’avversario, dal cedimento alle mode passeggere si è accettato di spezzare una storia, travolgere una memoria, dimenticare la propria funzione storica.
La funzione storica e politica della quale un popolo venga reso pienamente consapevole rimane il solo fattore possibile per raggiungere quell’autonomia di pensiero, che rimane l’unico presupposto valido per promuovere un’azione che costruisca un’alternativa di società e di sistema.
Sul punto dello smarrimento colpevole dell’identità ci sarebbe un lungo elenco da compilare a partire dalla dismissione della forma – partito, dall’assunzione dell’idea della democrazia maggioritaria, dall’esaltazione della personalizzazione della politica, dall’accettazione della propaganda strombazzante la fine delle classi e della distinzione destra /sinistra, ma con questo elenco si potrebbe continuare ancora quasi all’infinito.
Non può essere cancellata la storia della sinistra italiana e in questa storia vanno rivendicate con orgoglio le peculiarità di pensiero, di azione, di rappresentanza politica dimostrate dai comunisti, così com’è giusto siano ricordate quelle delle altre componenti socialiste , democratiche, del sindacato, delle forze migliori che confluirono a costruire la Costituzione Repubblicana.
Queste forze hanno dato vita alla presenza sociale e politica del movimento operaio e della parte più impegnata e coerente della società italiana.
Senza dimenticare le difficoltà, le contraddizioni, gli errori di cui pure quell’itinerario è stato contraddistinto nel corso del suo sviluppo è stato tragicamente colpevole tentare di dannare questo ricordo cancellandolo sul piano della rappresentanza politica, fino ad arrivare a determinare come inutile il concetto stesso di rappresentanza ed esaltando i meccanismi pericolosi del comando personale e quelli fallaci di una indistinta “democrazia diretta”.
FRANCO ASTENGO
15 dicembre 2018
foto tratta da Pixabay