Chinando il capo. Per Beppe Grillo questo sarebbe l’atteggiamento che il mondo dell’informazione dovrebbe tenere qualora una notizia fosse dichiarata falsa da una “giuria popolare” estratta a sorte tra i cittadini.
Quindi “non un tribunale gorvernativo”, sostiene il comico e politico del movimento Cinquestelle, ma qualcosa di molto democratico. Ammesso che lo sia. Forse lo è nel codice della politica del suo movimento: creare luoghi di pseudo partecipazione popolare dove far esprimere la rabbia della gente, dando vita ad un giudizio non di dio e nemmeno delle istituzioni ma “del popolo”.
Quando si invoca la folla come giudice, sovente si finisce con il consegnare nelle mani dell’irresponsabilità elementi, funzioni e decisioni che dovrebbero trovare invece una qualche mediazione per raggiungere una sintesi necessaria ed evitare la parzialità o, peggio ancora, una uniformità dettata dal giustizialismo che spesso infervora le masse se non ispirate da una sana coscienza critica sociale.
Cosa c’è di più facile che criticare? La critica è un esercizio nobile ma deve poter essere svolto da chi è abile in questa arte e non da un sorteggio in stile tombola natalizia. Non si possono prendere a caso delle persone, metterle insieme e affidare loro il compito di esercitare una sorta di censura sulla libertà di informazione.
Giornali, telegiornali e quanto d’altro genera notizie sono fallaci: rischiano di interpretare male i fatti, di sbagliare ma non possono e non devono essere soggetti a censure. Così recita anche la nostra Costituzione, perché la stampa in questo Paese è stata per troppo tempo sottoposto al controllo dello Stato.
Rendere indipendenti l’informazione (anche quando questa indipendenza significa sapere che i grandi gruppi di informazione rispondono ai grandi gruppi economici… e chi meglio dei comunisti sa questa grande verità?!) e i giudici è stato uno degli elementi cardini della formazione del nuovo assetto dello Stato italiano dopo la Seconda guerra mondiale.
I giornalisti possono essere soggetti a querele se diffamano qualche persona; possono essere quindi giudicati come qualunque altro cittadino, ma non devono chinare il capo ad una giuria di popolo, non possono scrivere con lo spauracchio di dover rendere conto ad un comitato di censori che li obbligherà all’umiliazione, alle forche caudine se pubblicheranno, sia in buona che in cattiva fede, una notizia.
Ovviamente tra bontà e cattiveria nel gesto della pubblicazione ce ne passa: ma per questo esiste lo strumento della querela di parte. Se si afferma il falso, palesemente falso, dimostrabilmente falso, allora si procede a querela.
Ma a volte basta anche una semplice smentita sulle colonne dello stesso giornale, magari il giorno seguente: si chiama “rettifica”. E questo il leader del movimento dovrebbe saperlo.
Non c’è bisogno di ricorrere a tribunali o giurie popolari per fare tutto ciò. Forse questa sparata sulla giuria giudicante la veridicità delle notizie serve a dare al popolo la sensazione intangibile di avere un nuovo potere, di essere protagonista in un film irrealizzabile e che scadrebbe penosamente nella mediocrità rendendo ridicolo il nostro Paese, la nostra Costituzione e chiunque si prestasse ad essere attore non nel senso della terminologia latina derivante da “ago”, ma nel senso più banale di “recitare”, quindi essere il ventriloquo di Stato (recitare: “citare la cosa”).
La reazione di Grillo pare derivi dall’accusa rivolta contro Internet di essere foriero di “balle”, termine che trovo fastidioso, volgare: diciamo, molto borghesemente, che è copiosamente produttore e alimentatore di menzogne. Ma certo che lo è. Ma le menzogne sono trasversali: su Facebook i produttori di morti false sono inestimabili numericamente parlando. Esistono migliaia di siti che sono truffe proprio come nella realtà fattuale quotidiana esistono truffatori di tutti i tipi.
L’arte dei governi, poi, è quella di proporre una loro politica ad una interità sociale e, pertanto, devono in qualche modo presentare le loro proposte come le più accettabili possibili dal maggior numero di persone. Quindi il contrasto che i governi hanno con una informazione libera, indipendente e senza vincoli è quasi naturale in questo sistema economico – politico.
Forse accorgersi del parallelismo tra Internet e realtà, tra realtà ed Internet e, quindi, della stretta interconnessione che esiste tra chi agisce ogni giorno nel mondo dell’informazione tanto in tv quanto su Internet e dalle colonne dei quotidiani sempre meno letti dalla popolazione, sarebbe stato utile per arrivare a comprendere che non vi è scindibilità tra questi fenomeni.
E ciò che il governo ritiene una “bufala” il governo lo ritenga pure tale. Fa parte della politica del governo stesso. Così faccia Beppe Grillo: risponda a tono al governo, senza inventarsi giurie o tribunali popolari che giudichino il governo.
Ad un governo non si oppone le reazione popolare organizzata in assemblea giudicante ma quello che il movimento pentastellato non ha mai messo nella sua agenda politica per il semplice motivo che non è nei suoi programmi: la costruzione di una coscienza sociale, critica. La costruzione del dubbio, della critica personale come elemento di presa d’atto che nulla fa assunto come verità ineludibile, imperscrutabile e naturalmente accettabile e condivisibile.
Tutto va sempre messo sotto la lente dell’osservazione, l’occhio, appunto, della criticità.
Il miglior giudizio popolare, il più bel tribunale popolare è quello che non c’è, quello che non viene costruito sulle macerie di altri tribunali.
La coscienza deriva non dalle leggi, che cambiano di volta in volta, ma da una morale che si può modificare a seconda del punto di vista che si assume sui fatti della vita, su ciò che ci succede sia singolarmente che collettivamente.
E stabilire la superiorità d’una morale di popolo contro una morale giornalistica è pericolosissimo: la morale superiore, già per definizione, è una anti-morale perché non può esistere superiorità e inferiorità nella valutazione etica degli eventi, ma solo semplici differenze di interpretazione su base culturale, politica, religiosa, filosofica…
Quindi, nessuno dovrebbe essere costretto a chinare il capo davanti a nessun altro ma a prendersi a testa alta le sue responsabilità: la ricerca dell’umiliazione e del pentimento è un retaggio cattolico di una voglia di pentimento che affonda le radici appunto nella universalità della morale cattolica contro tutte le altre.
Si arriva allo scontro tra le “civiltà”: per esattezza tra chi si ritiene superiore perché è “il popolo” (ma sarebbe comunque sempre una parzialissima rappresentazione del medesimo insieme complessivo della popolazione italiana) e chi è “l’istituzione” (che dovrebbe già avere il valore di rappresentanza del popolo medesimo).
Niente giudizi, niente capi da chinare, ma una società dove chi scrive lo faccia con la buona fede che può avere fino al confine dell’interesse, del profitto, del gruppo da difendere contro altri gruppi e altri interessi. Lì la verità claudica e, prima o poi, si sfracella al suolo.
Riconoscere il falso è solo, poi, questione di tempo, di messa insieme di tanti tasselli che combaciano sempre. Perché, come diceva Gramsci, i fatti hanno la testa dura.
MARCO SFERINI
4 gennaio 2016
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