Nella conversazione che segue la parola chiave è «instabilità», la «cifra che rimane sempre dentro», dice Fausto Bertinotti, o «La scintilla che può incendiare la prateria» come ha intitolato il suo editoriale nell’ultimo numero della rivista Alternative per il socialismo. A pensar male l’instabilità potrebbe essere la cifra della sua vita politica, date le indimenticabili rotture di cui ancora oggi si professa «orgoglioso». Ma non è di Prodi che parliamo stavolta. Parliamo di Renzi. Che per Bertinotti non è neanche un caso speciale: «È un po’ più o un po’ meno ma tutto sommato come gli altri che governano l’Europa. Sarebbe meglio che cadessero tutti, provocherebbe instabilità. Ma se non si ricostruisce la democrazia, va via lui ma viene avanti un altro uguale».
Un passo alla volta. Renzi ha perso la spinta propulsiva?
La sua ipotesi, dopo un inizio di successo, ora ha elementi di crisi. Il suo compito era dare una forma stabile alla governabilità, cosa in cui non erano riusciti i predecessori. Prima sul terreno sociale, come gli chiedevano i padroni del vapore attraverso Draghi: ha risposto ’obbedisco’. Ed ecco il jobs act e la controriforma della scuola.
Chi sono i padroni del vapore?
Il capitalismo globale finanziario. Le grandi multinazionali. Le banche centrali. Il governo sovranazionale chiamato Troika. Renzi poi, secondo passo, doveva realizzare la governabilità rendendo le istituzioni stabili anche in presenza di uno scarso consenso popolare. Ed ecco la riforma costituzionale, fine di un lungo ciclo per mettere in mora le assemblee elettive e sostituirle con la centralità del governo. All’inizio un parte del mondo politico era attratta da Renzi, anche i grandi facitori di opinione. Ma l’assolutizzazione della governabilità produce instabilità.
È un paradosso.
Sì. La rana vuole farsi mucca ma non ce la fa e scoppia. Il conflitto, domato in termini di alternativa politica, destra-sinistra, con il suicidio della sinistra, ritorna in termini di alto-basso e lotta contro le élite. Il partito unico del governo non ce la fa, le politiche reali producono crisi della coesione sociale. È successo a Valls, a Cameron, a Rajoy. E l’irresistibile ascesa va in crisi.
In tutto questo il referendum che ruolo ha?
È un appuntamento importante, carico di significati non iscritti nella contesa. Questo è stata la Brexit: ormai la percezione ha preso il posto del programma. L’evocata volontà popolare diventa un giudizio di dio sulle classi dirigenti: fra chi vuole che continuino a guidare il convoglio e chi invece dice: ci portano verso il baratro, fermiamo il convoglio.
Lei voterà no, dunque.
Ma con un voto smagato. Voterò no per contribuire a fermare il convoglio. Anche se poi, fermate le macchine, resteremo in un regime neoautoritario dove la sovranità popolare è sospesa. Bisognerebbe che, scesi dal convoglio, ci rimettessimo in marcia per la conquista della democrazia. Non per la difesa: cosa difendi se la democrazia non c’è più? Come disse Togliatti, con solita perfidia, ai comunisti francesi che si opponevano alla riforma di De Gaulle: non si può difendere con efficacia la democrazia quando è già ridotta a un simulacro. Ma insomma: gli Indignados, la Nuit debut, sono tutti già scesi dal convoglio.
Qui in Italia ci sono i 5 stelle.
Loro sono ’antisistema’ però solo sul versante ’politico’. Ma il sistema è quello capitalistico. In ogni caso: a loro sono interessato perché contribuiscono a battere il partito della stabilità. Scriverò l’elogio dell’instabilità. La stabilità è il nostro nemico, batterla è la condizione per tornare a respirare. E del resto la loro stabilità non governa niente: né i treni di Andria, né la Promenade des Anglais, né la Brexit. Diceva Mao : grande è il disordine, la situazione è eccellente. Non sarà eccellente, ma meglio che niente.
Ma l’instabilità non è un programma. E una volta destabilizzato il governo?
Per imparare a nuotare bisogna buttarsi in acqua. L’instabilità costringe a mettere al primo posto la pratica sociale.
Comunque Pd e 5 stelle pari non sono?
No, non sono pari. Il Pd è il sacerdote della stabilità, il M5S si è costruito all’opposizione del sistema politico, introduce contraddizioni. E se cambiassero linea sui migranti passerei a un atteggiamento anche più coinvolto. Perché loro sono in conflitto con le élite, basso contro alto, esattamente il terreno che dovrebbe praticare la sinistra. Alle sindache Raggi e Appendino direi: fate una passeggiata a Barcellona e Madrid per discutere con le due colleghe sindache l’idea di ’città nuova’ come parte di una nuova Europa.
A suo parere Sinistra italiana va nella direzione giusta? I leader sono quasi tutti suoi allievi, la generazione di Genova 2001.
Non voglio entrare nei conflitti interni di una forza nascente. Ma a mio parere non nascerà nessuna sinistra se non fuoriesce dall’involucro dell’istituzione partito per andare verso le pratiche sociali. A Genova sbagliammo a non accettare fino in fondo la sfida di assumere la testa del movimento sciogliendo l’ultimo partito del 900. Diceva un insigne teologo: solo dall’imprevisto può venire la salvezza. La spagnola Podemos e la greca Syriza vengono da Genova e nascono dalla piazza.
Tsipras un partito l’ha costruito, eccome.
In Syriza sono approdati esponenti del vecchio Synaspismós, ma resta che è stata la piazza greca a far nascere la Coalizione. Anche in Italia il processo costituente deve nascere dalla piazza. Non per partenogenesi.
E se in Italia la piazza non c’è?
E allora si adoperino a costruirla. Bisogna costruire un popolo, scomparso al pari dei partiti. E non lo reinventeranno con una costruzione politica, ennesima prigione, ma con una pratica sociale. La sinistra non ha neanche la mappa di tutte le forme di partecipazione, associazione, autogoverno. E perché? Perché le interessa un altro terreno, quello dell’istituzione-partito. Così la diaspora del suo voto approda altrove, ai 5 stelle.
DANIELA PREZIOSI
foto tratta da You Tube