Appena qualche giorno fa due leader arabi stretti alleati di Israele – re Abdallah II di Giordania e il presidente egiziano Abdul Fattah el Sisi – incontrando il leader dell’Anp Abu Mazen, avevano ribadito che i palestinesi hanno diritto a uno Stato indipendente, con Gerusalemme est come capitale. Poche ore dopo, durante una chiamata Zoom con i leader della Conferenza dei presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane, il premier israeliano Naftali Bennett ha riaffermato la sua netta opposizione alla soluzione a Due Stati e ha detto di non vedere all’orizzonte alcuna svolta politica con i palestinesi. «È una dicotomia: o fai lo Stato palestinese o non fai nulla», ha protestato Bennett secondo il giornale online Times of Israel.
Più cauto, più misurato, perciò diverso dal suo predecessore, il premier-guascone Benyamin Netanyahu, Bennett ha comunque espresso pienamente nella conversazione dell’altro giorno il suo credo nazionalista-religioso. Il primo ministro ha ereditato nel suo partito, Yamina, l’ideologia del vecchio Partito nazionale religioso (Pnr) che considerava, per motivi biblici, tutto il territorio storico della Palestina parte di «Eretz Israel» in cui nessun altro popolo può esercitare forme di sovranità reale. Come il Pnr, Bennett e Yamina sono sostenitori della colonizzazione ebraica della Cisgiordania occupata. In questo quadro ideologico le aspirazioni palestinesi, sostenute dalle risoluzioni internazionali, non possono trovare alcuna realizzazione sul terreno.
Il premier israeliano esclude anche di poter incontrare Abu Mazen come invece ha fatto qualche giorno fa il suo ministro della difesa Benny Gantz. Motivo? Il presidente dell’Anp ha portato Israele davanti alla Corte penale internazionale con l’accusa di crimini di guerra. «È come nel mondo degli affari, quando qualcuno mi fa causa, poi non sono così gentile con lui», avrebbe commentato sempre secondo il Times of Israel. Lo scorso marzo, il procuratore capo della Cpi ha annunciato l’apertura di un’indagine sulle azioni commesse da Israele, e anche dai palestinesi, in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est dal 13 giugno 2014. Un passo al quale l’Anp e tutti i palestinesi hanno applaudito. Per Bennett se il conflitto non può essere risolto, comunque si può «ridurre la portata dell’attrito». Sebbene non abbia fornito particolari durante la conversazione, i passi concilianti ai quali ha fatto riferimento dovrebbero riguardare l’economia e il miglioramento delle condizioni di vita dei milioni di palestinesi che sono sotto occupazione militare israeliana. Il suo governo ha già approvato migliaia di permessi di lavoro per i palestinesi in Israele, autorizzazioni edilizie per i palestinesi nell’Area C della Cisgiordania – praticamente inesistenti negli ultimi venti anni -, l’approvazione della residenza per migliaia di persone. Ed è pronto a prestare oltre 100 milioni di dollari all’Anp in profonda crisi finanziaria, anche per garantire il proseguimento del coordinamento di sicurezza tra l’intelligence palestinese e quello israeliana.
Il capo del governo israeliano si mostra sicuro di poter controllare la situazione ma intanto il blocco totale della Striscia di Gaza che Israele attua dal 2007 e le condizioni di vita insopportabili per i suoi abitanti innescano tensioni e conflitti a ripetizione. «Il nostro popolo è pronto a usare tutti i mezzi disponibili per fare pressione sull’occupante e obbligarlo a togliere l’assedio al nostro popolo», ha avvertito un portavoce del movimento islamico Hamas.
MICHELE GIORGIO
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