Sono i luoghi dove gli italiani sono emigrati più che altrove in tanti decenni prima dopo le due guerre mondiali. Sono i luoghi dove è comune trovare le statue di Garibaldi nelle principali città: lì il generale ha combattuto per la libertà uruguagia con la Legione Italiana quando nel Regno di Sardegna pendeva sul suo capo una condanna a morte e l’esilio era divenuto un obbligo.
Parliamo dell’America Latina, soprattutto di Argentina, Brasile e Uruguay. Buenos Aires è un crocevia, da questo punto di vista, di italiani emigrati che si incontrano e che costituiscono una comunità molto vasta: in tutti questi e tre paese, riuniti sotto il tricolore, vi sono circa 400.000 connazionali più o meno ex.
Un bel parterre di consensi da persuadere a votare per la controriforma governativa sulla Costituzione.
E così, il ministro Maria Elena Boschi sta vagando nel triangolo del Rio Grande do Sul e del Rio de la Plata, tra Buenos Aires e Montevideo, accolta dalle ambasciate d’Italia e dai consolati. Naturale, logico. Un ministro rappresenta l’Italia in questi frangenti, ne rappresenta il governo e, pertanto, non vi è nulla di anomalo sul fatto che gli ambasciatori e i consoli lo accolgano, lo assistano nel soggiorno e nel viaggio.
Ciò che è quanto meno curioso risiede nelle tematiche che la ministra ha portato nei suoi interventi agli italiani all’estero.
Al Teatro Coliseo di Buenos Aires ha praticamente sostenuto le ragioni del “Sì” alla controriforma che anche da lei prende il nome, sostenendola in una comunità italiana piuttosto ostile a votare a favore: si dice che, da quelle parti, persino il PD estero sudamericano sia orientato più per il “NO”…
Il teatro in questione è proprietà dell’Ambasciata d’Italia. Dietro alle spalle della ministra non vi erano le cartellonistiche dei festival de l’Unità o le bandiere del PD, ma quelle della Repubblica Italiana. Il leggio su cui poggiava i suoi appunti portava il simbolo dello Stato.
video tratto dal canale You Tube de il manifesto
Dunque, la domanda è: può un ministro utilizzare la sua funzione di governo, estraniarsi da quella di partito, e promuovere una parzialità, quindi il sostegno aperto al “Sì” utilizzando l’appoggio delle ambasciate, dei consolati, quindi di organi statali che dovrebbero rappresentare tutti i cittadini e non solo quelli favorevoli alla riforma?
La riforma, infatti, divide il Paese e lo continuerà a dividere per due mesi fino al fatidico 4 dicembre, quando andremo a votare e sapremo poche ore dopo se la Costituzione cambierà o se resterà fedele al suo spirito parlamentare e democratico.
La riforma, dividendo il Paese, è argomento di parte; anzi, di due parti. E che chi ha prodotto la riforma utilizzi le funzioni di ministro e le strutture dello Stato all’estero per promuoverla nelle comunità italiane fuori dai patrii confini è un quesito che lo stesso governo deve affrontare.
Bene hanno fatto alcune forze di opposizione a presentare interrogazioni parlamentari in merito.
Rimane comunque il fatto già ormai declinato in principio: si può fare, perché è stato fatto. E ciò che è stato fatto potrà magari d’ora in avanti essere limitato, contenuto e ridotto nel suo proponimento, ma un governo ispirato alla logica della correttezza istituzionale, ben sapendo di avere dalla sua la maggior parte del sostegno dell’informazione pubblica e privata, dei giornali, delle televisioni, delle radio e di Internet, avrebbe potuto evitare di far traboccare il vaso e di mostrarsi così spregiudicato nella propaganda per la propria riforma.
In questa partita, infatti, il governo non è super partes ma è una parte in causa, per altro per niente occulta, nascosta. Ma dichiaratamente tale. E lo è proprio perché da Palazzo Chigi genera la riforma e non da altri enti della Repubblica.
Avevamo messo in conto di assistere a molte scorrettezze: ad alcune siamo già stati preparati, abituati e più volte vi siamo passati e ripassati sotto, schiacciati dal rullo compressore delle magnifiche “verità oggettive” di un governo che sbaglia le stime economiche e deve correre ai ripari con dichiarazioni contraddittorie dei suoi ministri; di un governo che sbaglia (?) due volte la comunicazione sul “fertility day” e deve fare marcia indietro tra misoginia e razzismo individuati senza troppe difficoltà da centinaia di migliaia di frequentatori di Facebook e Twitter; di un governo che annuncia, come ennesimo spot elettoral – referendario, la volontà di creare 100.000 posti di lavoro con la “grande opera” del ponte sullo stretto di Messina. Ed eccoci, oggi, a commentare il viaggio di Maria Elena Boschi in Sud America.
Quindi ne aspettiamo ancora molte mosse sul crinale divisorio tra corretto e scorretto.
La stessa riforma è frutto di un calcolo politico preciso che non fa ciò che ci dicono i rappresentanti del governo nei comizi e negli inviti ufficiali della ambasciate d’Italia all’estero. Fa l’opposto. Ma questo rimane sana materia di dibattito tra il “Sì” e il “No”.
Del resto, non vi preoccupate, ci diranno che la democrazia è comunque sempre salva. Perché? Perché le tribune referendarie vedranno la presenza di entrambi gli schieramenti! Basta così poco per sembrare democratici!
MARCO SFERINI
29 settembre 2016
foto tratta da Pixabay