5 marzo… ogni anno qualche presunto comunista commemora il “compagno Stalin”.
Gloria, onore e mille altre adorazioni per Iosif Vissarionovič Džugašvili detto “Acciaio”.
I rimpianti per lo stalinismo, per Stalin stesso sono una malattia adulta di un certo presunto comunismo che non si rassegna alla demitologizzazione di tutto un armamentario iconografico e quasi deistico costruito sulle macerie proprio di un marxismo mortificato e vilipeso dall’idea del “socialismo in un solo paese”.
Per non parlare dei crimini dello stalinismo, dei genocidi polpottiani, dell’irrisolta questione della coniugazione tra comunismo e umanismo, tra comunismo e democrazia sociale nel ‘900 (ed anche nel nuovo secolo in cui viviamo).
Basterebbe riprendersi in mano qualche testo di Antonio Gramsci e di Rosa Luxemburg per comprendere la potenzialità libertaria del vero comunismo, dell’unico possibile: la liberazione da qualunque bisogno materiale in una società senza dirigismi burocratici e grandi ritratti da adorare nelle piazze.
Il comunismo è esattamente l’opposto dell’espressione stalinista del potere che raduna in sé il peggio del revisionismo antimarxista e lo adatta alle “dure” esigenze di Stato, creando un dogma pragmatista che tenta di addossare ai detrattori lo stigma del mero idealismo, del sogno che non si concretizza, dell’utopia di un socialismo irrealizzabile senza il passaggio sotto le forche caudine del grande Padre.
Un durissimo pragmatismo, fintamente tale, che sorprese un po’ tutti poco prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, quando condusse al patto con i nazisti per “fermare l’espansione tedesca” in funzione di un imperialismo sovietico che divorava i paesi dell’Est già allora.
Molotov e Ribbentrop non si fidavano l’uno dell’altro, così come Stalin ed Hitler.
Eppure svastica e stella rossa si sono unite per dominare ambedue ambiti geopolitici e popoli che volevano invece rimanere indipendenti: le seconda spartizione della Polonia avviene in questo contesto…
Le epurazioni e le purghe dell’esercito, unitamente a ciò, hanno contribuito al grande disastro di una “Operazione Barbarossa” già pianificata da Hitler, la cui sottovalutazione è costata milioni di morti dal popolo russo chiamato disperatamente, in seguito, alla “grande guerra patriottica” per battere il mostro nazista.
Una realpolitik fatta anche dalla Gran Bretagna che tentò di arginare la voracità hitleriana con accordi e svendite di territori non propri (la Conferenza di Monaco ce ne parla abbondantemente). Ma i britannici erano comunque liberali, mentre il grande nemico dei nazisti erano i “rossi”. Un nemico naturale. Dunque non si sarebbe attesi un accordo tra due paesi così avversari e diversi in tutto e per tutto.
Qualcuno potrà dire che sono “storie del passato”, che si deve guardare ad un “socialismo del XXI secolo”, che va archiviato il tutto. Invece va ricordato e ristudiato per bene: questa è un’epoca in cui dovremmo metterci con pazienza ad analizzare proprio il recente passato per evitare di ricadere in errori che sono divenuti “epocali” e che hanno tranciato la modernità europea e mondiale e l’hanno fatta sprofondare nel baratro di crudeltà e genocidi inimmaginabili fino ai primi anni ’30.
Nella rivoluzione si dovrebbe poter sempre unire lotta e felicità. Ripeto anche qui la frase di una grande compagna non comunista, ma anarchica, Emma Goldman: “Se non posso ballare, non è la mia rivoluzione”.
Ecco, finché c’è stato Lenin si poteva ballare pensando alla rivoluzione, facendola proprio. Poi tutto si è irregimentato, burocratizzato e si è fatto “sistema”.
E l’anima libertaria del comunismo è morta e si è trasformata nella prigione del “socialismo reale”.
Il mio comunismo era, è e sarà sempre quello in cui oltre a lottare, si ride e si balla.
(m.s.)
foto tratta da Pixabay