Sul premierato e sull’autonomia differenziata succedono cose, nelle aule parlamentari e fuori. Fatti rilevanti, che è complicato gerarchizzare, e che vanno soppesati, partendo da un racconto cronologico. Tuttavia si può anticipare che lo sguaiato intervento in Senato della ministra Casellati sul premierato, e la riunione della segreteria di Fi sull’autonomia, preludono a sviluppi interessanti. Mentre una vergognosa aggressione fisica alla Camera in stile squadrista al deputato di M5s Leonardo Donno, da parte di deputati della Lega, dimostra che il «vannaccismo» e la cultura parafascista ormai è parte integrante della nuova Lega di Salvini.

In Senato, a suon di «canguri» (l’esame di più articoli analoghi con un unico voto), la maggioranza ha esaurito le votazioni dei 1.200 emendamenti dell’opposizione sul cuore del ddl Casellati, l’articolo 5, che introduce nella Costituzione il principio dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio senza tuttavia indicare come avverrà. Ed è ciò che le opposizioni all’unisono hanno ripetutamente chiesto alla ministra di chiarire, ma inutilmente.

Tutti hanno posto la stessa domanda: al candidato premier per essere eletto verrà richiesto il 50% dei voti dei cittadini? In caso contrario ci sarà un ballottaggio? Senza contare altri interrogativi più «tecnici» indicati anche fuori dalle aule dalle 4 associazioni di giuristi Magna Carta, LibertàEguale, Io Cambio e Riformismo&Libertà, o da alcuni costituzionalisti in audizione, come Roberta Calvano. La ministra ha taciuto, soffermandosi ostentatamente in lunghe telefonate mentre i senatori di minoranza si rivolgevano a lei.

Evidentemente Casellati ha sentito lesa la propria maestà dalle domande, perché nel pomeriggio al momento di esprimere i pareri sugli emendamenti a un altro articolo, ha attaccato con voce alterata le opposizioni («non prendo lezioni di democrazia da chicchessia») ribadendo che della legge elettorale se ne parlerà dopo la prima lettura di Senato e Camera.

Un nervosismo significativo, probabilmente dovuto al fatto che al «chi se ne importa» del premierato di Meloni delle scorse settimane, si è aggiunto l’altro ieri quello di un altro esponente di peso di Fdi come il ministro Crosetto. In ogni caso in mattinata dopo proteste delle opposizioni, comprese l’esposizione di cartelli in Aula, la maggioranza ha approvato l’articolo 5. E nel pomeriggio sono iniziate le votazione dell’altro pilastro del ddl, l’articolo sulla gestione delle crisi di governo.

A Montecitorio, intanto, si esaminavano gli emendamenti all’autonomia differenziata, le cui votazioni si esauriranno oggi, mentre il 18 si esamineranno gli ordini del giorno e si svolgerà il voto finale. Durante la discussione il deputato 5s Donno si è avvicinato ai banchi del governo, dove sedeva Calderoli, mostrandogli un Tricolore.

Paradossalmente – ma in termini di regolamento correttamente – i commessi hanno sottratto a Donno la bandiera, che evidentemente non piace ad alcuni deputati della Lega che si sono precipitati verso l’emiciclo, con Domenico Furgiuele che ha fatto il segno della X Mas rivolgendosi alle opposizioni. Ne è nata una rissa impressionante, che ha riportato l’aula indietro esattamente di 100 anni, e nella quale Donno è stato colpito così violentemente con pugni e calci da rimanere a terra ed essere portato via in carrozzina.

Politicamente da rilevare le tensioni sull’autonomia differenziata emerse durante la segreteria di Fi, radunata da Tajani, dove gli esponenti meridionali hanno dato voce al malcontento dei territori. Alcuni deputati del Sud, come Francesco Cannizzaro e Annamaria Parente, intenzionati a presentare emendamenti, hanno desistito, in modo da consentire l’approvazione del ddl Calderoli senza modifiche rispetto al Senato.

Ma Tajani ha dovuto fare una dichiarazione in cui ha annunciato ordini del giorno di Fi sui Livelli essenziali di prestazione (Lep), tema – ha detto Tajani – su cui «Fi vigilerà in Parlamento». Il tetragono patto tra i leader della maggioranza su premierato, autonomia e separazione delle carriere mostra le prime crepe nelle basi dei partiti.

KASPAR HAUSER

da il manifesto.it

foto: screenshot tv