Partiamo da un punto dirimente: tutto ciò che contribuisce alla destrutturazione e al depotenziamento, anche solamente parziale e minimo, del Partito democratico deve essere accolto come un evento favorevole al percorso di ricostruzione in Italia anche di una sinistra degna di questo nome, ma di più ancora di un riposizionamento dei rapporti di forza politici e sociali che l’anomalia rappresentata dal PD ha squadernato.
Il blocco antisociale che si riconosce nelle politiche renziane, e che trova nel partito dell’ex sindaco di Firenze la sede naturale di espressione istituzionale, va dai settori delle destra moderata fino alle ex aree della socialdemocrazia bersaniana. Per arrivare, infine, ad una parvenza di resistenza a sinistra rappresentata da Gianni Cuperlo e Stefano Fassina. Sono rimasti loro a difendere un fortino che non ha nemmeno l’onore dell’assedio, perché Renzi non considera queste minoranze interne come elemento pericoloso per la stabilità del suo partito, ma anzi – proprio come la Chiesa cattolica che tutto tiene in sé e che unisce gli opposti in piena armonia – le preserva per avere il fianco “sinistro” coperto e potersi presentare ancora come il soggetto che si contrappone a Silvio Berlusconi e alla Lega Nord.
L’uscita di Pippo Civati dal PD, di per sé, non rappresenta quella “rivoluzione” che tutti pensano di potersi aspettare: non è una discriminante così forte da capovolgere gli equilibri nel mondo frammentato della sinistra italiana.
Tuttavia, scioglie una ambiguità dopo molti, molti mesi di tira e molla e aggiunge un tassello non residuale alla proposta di dare vita in tempi non lunghi ad un luogo sociale, politico e anche culturale per una “costituente” della sinistra.
Bisogna intendersi sul significato del termine: costituente non può voler dire fondazione di un partito unico della sinistra. E’ già ampiamente dimostrato che una linea comune tra noi di Rifondazione Comunista, Sel, pezzi di movimento, sindacato ed ex democratici è impossibile da sintetizzare in un soggetto politico unico. Unitario (e plurale) è ben altra cosa.
La via del “partito unico” è una scorciatoia che è facile a prendersi, ma finirebbe coll’annichilire alcune culture e pratiche di alternativa che invece devono poter continuare ad esistere nel pieno rispetto della reciproca dignità.
Pere e mele sono frutti entrambi, ma non si possono sommare. Possono stare in un unico cesto, ma occorrerà sempre distinguere le pere dalle mele e le mele dalle pere.
Comunisti e socialisti possono unirsi in una lotta comune per l’oggi e il domani prossimo, ma resta indubbio che tattiche e strategie non sempre coincidono e che tutto questo deriva da una interpretazione della società che per quanto ci riguarda necessita di un lavoro di rovesciamento senza appello del sistema capitalistico. Per Civati e Sel, probabilmente, è sufficiente un intervento di riforme di struttura, un temperamento degli effetti nefasti dell’economia di mercato per migliorare la società.
Si può anche concordare sull’immediatezza delle risposte da dare a determinati attacchi del capitale nei confronti delle larghe schiere di sfruttati, di lavoratori, precari, disoccupati, senza lavoro da lungo tempo. Ma sarà sempre molto difficile, io penso impossibile, concordare sulla prospettiva di lungo termine.
E’ per questo che, fuori da ogni ambiguità, bisogna dirsi chiaramente che possiamo unirci e stare insieme senza costruire stanchi rituali di cartelli elettorali che funzionano solo per tornate di voto e che vengono il giorno dopo immediatamente archiviati e obliati senza alcun rimpianto, ma che dobbiamo riconoscere che esistono ancora soluzioni diverse ai problemi più vasti e generali che questo mondo capitalistico ci pone innanzi.
L’unità e l’autonomia possono essere insieme riproposte come base della costruzione di un nuovo soggetto politico che le rispetti entrambe: l’autonomia, per i comunisti, vuol dire avere comunque sempre un partito in cui agire, un partito comunista. Non si può sacrificare l’autonomia in nome dell’unità e non si può, viceversa, far svanire l’unità in nome di una radicale ed esacerbante autonomia. Tutte e due vengono meno al loro compito laddove si supera il confine del rispetto delle identità, delle culture e delle prospettive massime facendone pagare il conto alla ricerca spasmodica del “mito dell’unità” a tutti i costi.
Lavoriamo, dunque, per unire le forze progressiste politiche, sociali e sindacali del Paese: lavoriamo per far marciare insieme la Coalizione sociale di Maurizio Landini e un nuovo progetto politico a sinistra. Lavoriamo per una riconoscibilità immediata di questo progetto agli occhi della gente che, confusa, priva di coscienza sociale, attratta esclusivamente da discorsi urlati e non da analisi e ragionamenti sui problemi grandi e piccoli che quotidianamente si vivono, finisce per approvare qualunque sottrazione di libertà sociali e civili e applaudire chi – in nome del “nuovo” e delle “riforme” – distrugge gli architravi della democrazia repubblicana.
Lavoriamo per affermare una nuova autonomia dei comunisti in una rinnovata e ritrovata unità della sinistra italiana.
MARCO SFERINI
8 maggio 2015
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