È questa la settimana in cui sei regioni a maggioranza di centrodestra proveranno a proporre il referendum sulla legge elettorale come vuole Salvini. Per cancellare la quota proporzionale e trasformare il Rosatellum in una legge tutta maggioritaria. Tra oggi e domani le delibere, tutte uguali, saranno messe ai voti nei consigli regionali di Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo. Il tempo stringe: ogni consiglio regionale deve successivamente nominare due delegati e depositare la richiesta a Roma entro lunedì prossimo, 30 settembre, alla Corte di Cassazione. Le minoranze regionali proveranno a fare ostruzionismo. È ancora incerta la linea che prenderà Forza Italia: Berlusconi ha detto che il referendum non è la soluzione giusta e che una quota di proporzionale è indispensabile, ma nelle regioni dove c’è già stato un passaggio della proposta di referendum in commissione, Forza Italia non si è messa di traverso. E l’ostruzionismo è l’unica arma di chi si oppone alla Lega; in cinque delle sei regioni chiave i consiglieri di Salvini raggiungono la maggioranza con quelli di Fratelli d’Italia. Per l’articolo 75 della Costituzione, cinque regioni sono sufficienti a proporre un referendum abrogativo.
La natura di questo referendum messo a punto dal leghista Calderoli è assai discutibile e discussa. Concettualmente l’idea è semplice: cancellare dalle leggi elettorali di camera e senato la quota di deputati e senatori – che adesso è di cinque ottavi – eletta con il metodo proporzionale a liste bloccate. Per eleggere tutti (tranne i pochi eletti all’estero) con il sistema uninominale maggioritario. Una legge del genere, dove chi arriva primo anche di un solo voto prende tutto in tutti i collegi, l’Italia non l’ha mai avuta. Per arrivarci l’operazione di ritaglio, inevitabile visto che il referendum può essere solo abrogativo, è assai spericolata. Vengono cancellati 43 commi o frammenti di commi da quattro diverse leggi: il testo unico delle leggi elettorali della camera, quello del senato, il Rosatellum del 2017 e persino la legge che ha scritto lo stesso Calderoli ed è riuscito a far approvare meno di quattro mesi fa. Anzi, questo ritaglio è proprio la chiave del referendum, perché la Corte Costituzionale è stata sempre (o quasi) assai rigorosa nel giudicare l’ammissibilità dei referendum abrogativi di leggi elettorali. Bocciando referendum manipolativi (e questo potrebbe esserlo) o non omogenei (c’è anche questo rischio) o poco chiari per l’elettore (in questo caso la violazione è sicura, solo guardando alla lunghezza che dovrebbe assumere il quesito). C’è poi una barriera insuperabile: la Corte non ammette referendum che lasciano un vuoto normativo; il paese deve sempre avere una legge elettorale pronta all’uso. In questo caso, se fossero abrogata la quota proporzionale si dovrebbero ridisegnare tutti i collegi prima di poter andare alle elezioni. Ed ecco spiegato il taglia e cuci sulla recentissima legge Calderoli, che era stata pensata per adattare il Rosatellum alla riduzione dei parlamentari: da quel testo viene recuperata la delega al governo per disegnare nuovi collegi «entro sessanta giorni». Di più non si poteva dire, perché il referendum può solo cancellare alcune parole dai testi di legge e non aggiungerne altre. Per questo, ha notato in una memoria per le opposizioni nel consiglio regionale della Liguria Felice Besostri – grande esperto di leggi elettorali e di referendum – «non c’è un termine certo: c’è la durata di 60 giorni ma non c’è la decorrenza. È così palmare la violazione dell’articolo 76 della Costituzione che consente deleghe al governo “soltanto per un tempo limitato”». Dalle stesse parti colpisce la critica di Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato Pd: «La delega è solo una strada a disposizione del governo, non è un atto dovuto. I giudici della Corte Costituzionale non avranno davanti una legge elettorale sicuramente applicabile e dichiareranno inammissibile il referendum».
Ma anche senza il referendum, Salvini non deve necessariamente preoccuparsi di un futuro troppo proporzionale. Zingaretti infatti si sta già smarcando dall’accordo che ha fatto con i 5 Stelle sulle «garanzie» indispensabili a dare il via libera al taglio dei parlamentari. «Approfondiremo il tema della legge elettorale per evitare che si facciano scelte che tradiscano la natura del Pd», ha detto ieri il segretario. E il vice segretario Orlando ha aggiunto che «non si deve dare per scontato che l’unico approdo possibile sia il proporzionale» peraltro «con sbarramento». Le preoccupazioni sulla rappresentanza che porta con sé la riforma costituzionale che taglia i parlamentari sono già finite in secondo piano. Non la riforma, però, anzi domani il Pd le darà il benvenuto nel calendario dei lavori della camera di ottobre.
ANDREA FABOZZI
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