Aspettative sociali e trabocchetti liberisti nella Francia del dopovoto

Un botto. Per tutte e tutti. Per la gauche, che non si aspettava, forse più degli altri, di arrivare prima al secondo turno delle legislative francesi; per la droite,...

Un botto. Per tutte e tutti. Per la gauche, che non si aspettava, forse più degli altri, di arrivare prima al secondo turno delle legislative francesi; per la droite, che sintetizza tutta la sua masticata amarezza nelle smorfie televisive di Jordan Bardella, che ammicca, che rimanda all’ingovernabilità della Francia, all’estremismo della sinistra, all’irresponsabilità presidenziale.

Poi è il turno di Madame Le Pen: ricalca le parole del suo giovane delfino e le implementa con una cassandresca premonizione. Sarà una situazione che durerà non più di un anno e poi, tornati al voto, lei e i suoi saranno pronti ad uamentare ancora di più i seggi all’Assemblea Nazionale per puntare al governo e poi alla presidenza della Repubblica.

Che questo sia ovviamente, da sempre, l’obiettivo, è evidente, ovvio. Che vi possa riuscire non lo è. Almeno stando alla tenuta del “fronte repubblicano” che ha fatto da diga e che ha saputo raccogliere una buona parte di astensionismo latente e coniugare il tutto con la disciplina ferma da parte delle elettrici e degli elettori nel preferire il candidato vincente nei collegi anche se molto, ma molto lontano dalle loro convinzioni.

Lo sbarramento, dunque, tiene e fa arrivare primo per seggi il Nouveau Front Populaire, per secondo lo schieramento Ensemble di Macron e Attal, per terzo il Rassemblement National. La primissima considerazione è affidata alla vera e propria sopresa del capovolgimento delle previsioni sondaggistiche. Se negli ultimi giorni il RN era dato in modesta avanzata, con qualche retrocessione rispetto al primo turno, di sicuro nessuno si attendeva che finisse terzo, addirittura dietro i centristi macroniani.

Se il risultato del NFP era abbastanza prevedibile in caso di sua vittoria (che non era, però, l’opzione su cui si sarebbe potuto oggettivamente scommettere date le premesse del voto europeo e quelle del primo turno), assolutamente improbabile era la sconfitta netta – sempre stando alle aspettative create dal contesto e anche dalla propaganda – della formazione lepenista-bardelliana.

Così come era assai poco presagibile che Ensemble recuperasse, unitamente a Les Répubblicaines, elettoralmente sofferenti per il tradimento di Ciotti, un consenso moderato che pareva invece orientato a preferire il consolidamento delle posizioni conservatrici e reazionarie del Rassemblement, seppure declinate in chiave moderna in un europiesmo delle nazioni, tanto caro – tra le altre e gli altri leader – a Giorgia Meloni come stile, metodo e pratica di compromesso.

Insomma, il secondo turno delle legislative francesi è un vero e proprio terremoto politico che non redistribuisce solo differentemente a prima dei seggi, ma che apre ad una serie di possibilità di governo del paese tutt’altro che semplici. Chiaramente, essendo la prima forza politica, il Nouveau Front Populaire ha tutto il diritto di reclamare la guida dell’esecutivo. Le dimissioni di Attal sono un atto praticamente dovuto, mentre Macron si prende del tempo.

L’Assemblea Nazionale disegnata dal voto popolare, stando alle posizioni irrinunciabili contenute nei programmi delle singole forze o, anche soltanto, alle dichiarazioni delle prime e delle ultime ore dal e dopo il voto, non ha una maggioranza direttamente esprimibile da una delle tre grandi aggregazioni che si sono andate formando. Forse i gollisti potrebbero essere quell’ago della bilancia che in molti reclamano come attaccatutto tra centro e destra.

Forse si potrebbe formare una maggioranza tecnico-macroniana, con i voti di Ensemble, quelli della destra moderata e repubblicana e quelli di una parte del NFP, segnatamente si pensa ai socialisti, da cui proviene anche l’ormai quasi ex primo ministro Attal. Tutto è in grembo di Giove o, per essere più precisi, nelle tattiche che – questo è certo – si attiveranno nei prossimi giorni.

C’è qualcuno che può scommettere che non si farà di tutto per rompere l’unità del Fronte Popolare? C’è qualcuno che può escludere una maggioranza tecnico-politica, magari di impronta liberal-sociale per estromettere le ali opposte degli schieramenti e comporre un governo di unità nazionale? Nessuno può dire oggi come finirà, anzi come inizierà la nuova legislatura francese. Ma una cosa, tra le altre, è certa: nessuno intende deludere il proprio elettorato.

E per farlo, prima di tutto, il NFP deve rimanere unito, altrimenti, senza una intransigente fermezza su questo punto tattico finirà per compromettere anche una strategia di lungo corso di cui non è direttamente responsabile ma di cui, in tutta evidenza, è erede: dellla stagione delle lotte contro la riforma pensionistica di Macron, quella per una sanità a misura di cittadino e non di grandi multinazionali del farmaco, così come le lotte per l’ambiente e per la scuola, per i diritti civili.

Questa pesante e tanto concreta eredità è stata guadagnata dalle forze che hanno composto il Fronte Popolare. Di per sé, quindi, non è il contenitore che ha influito enormemente in una brevissima campagna elettorale, ma sono i contenuti e la volontà di metterli in pratica dopo un voto che aveva allarmato l’intera Francia progressista (e non solo). E tuttavia, anche il perimetro della coalizione ha avuto una rilevanza.

Per noi italiani è sufficiente fare un paragone con l’estrema disomogeneità che si riscontra nel tentare, anche solo ipoteticamente, di assemblare PD, Cinquestelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Rifondazione Comunista e altre formazioni minori, oppure i sindacati come la CGIL o l’USB, in una convergenza che sia anche il frutto di una istintiva difesa repubblicana dei valori costituzionali (come avvenuto in Francia); ma che, soprattutto, condivida un programma politico dalle questioni sociali interne alla visione europea, fino alla politica internazionale.

Indubbiamente anche nel NFP vi sono state e vi sono delle marcate differenze ad esempio sulla questione ucraina. Ma la capacità della gauche di fare comune denominatore dei valori e dei punti unificanti è superiore alle singole specificità che la potrebbero tenere separata. Nella sinistra francese persino i più moderati socialisti parlano di alternativa tanto al neofascismo lepenista quanto al liberismo macroniano.

In Italia se si osa mettere in campo la parola antiliberismo, si provoca immediatamente uno sconquasso: in particolare nel Partito democratico. E non è bastata la segreteria di Elly Schlein per dare quanto meno l’impressione di avere a che fare con una forza marcatamente di sinistra, quantunque moderata. L’impronta socialdemocratica del PD forse è più visibile oggi rispetto alle gestioni precedenti, ma la conseguente critica senza appello del modello liberista non emerge con nettezza.

Si dirà che la socialdemocrazia è per l’appunto ciò: un compromesso tra lavoro e capitale, tra pubblico e privato, tra compatibilità di classi opposte che, quindi, inevitabilmente scade nel compromissorio e nella gestione del potere fine a sé stesso. E può anche corrispondere al vero. Ma non è sufficiente per risolvere le contraddizioni evidenti di una politica progressista italiana davvero schizofrenica.

Mentre i Cinquestelle, che un tempo architettavano i governi con la Lega, che hanno sostenuto e partecipato a maggioranza con Renzi e che sono stati di supporto anche all’esecutivo di Draghi, oggi aderiscono al gruppo parlamentare europeo di “The Left“, il PD, che in teoria dovrebbe essere più a sinistra di Conte, rimane su posizioni molto timide. Ad esempio sulla guerra, sul disarmo, sulla ricerca della pace.

Ecco che cosa contraddistingue il NFP dalla disordinata sinistra italiana. Non soltanto la coerenza delle posizioni mantenute nel corso delle molte lotte fatte, ma in modo speciale la condivisione di una analisi generale della società molto più condivisa rispetto al trasversalismo delle forze non governative dello Stivale.

Il timore che anche la Francia potesse essere travolta dall’onda nera dei “patrioti“, “sovranisti” e “neonazionalisti” era davvero grande. Caduta Parigi si sarebbe aperta una voragine per un’Europa che è sempre molto lontana dall’essere amica del mondo del lavoro dei più deboli ma che, nel bene e nel male, rimane un argine all’esponenzializzazione di nuovi autoritarismi.

Salvo poi allevarseli in casa, come nel caso ungherese, e fare molto poco per evitare che riemergano, puntando su politiche di riarmo e di esasperazione delle peggiori passioni conservatrici e reazionarie che inducono a cercare il nemico piuttosto che la solidarietà tra i popoli e le nazioni. La tenuta francese, anzi la vittoria della sinistra vera e propria, forma un asse con la Spagna e guarda tanto alla Germania quanto al Regno Unito come interlocutori possibili.

Indubbiamente molto differenti per posizionamento geopolitico (la Gran Bretagna addirittura fuori dall’Unione), ma pur sempre parlamenti ed esecutivi in cui una vena di sociale c’è. Se più evidente a Madrid e meno a Berlino, è un discorso non a parte, ma altro, che va sviluppato nel momento in cui un eventuale nuovo governo francese di marcata impronta di sinistra farà i suoi primi passi.

Sempre che possa nascere. L’attendismo macroniano non lascia presagire nulla di buono. Il respingimento delle dimissioni di Gabriel Attal, ufficialmente “per il momento” e per garantire “la stabilità” della nazione, è la premessa che lascia intravedere le richieste che farà il blocco centrista a quello del NFP per governare. Mettiamo un attimo da parte i tentativi, cui assisteremo, di separare moderati e radicali dell’alleanza frontista per escludere La France Insoumise e il Parti Communiste Français dal governo.

Mettiamo anche da parte il fatto che la reazione delle borse a Parigi non è stata negativa (+0,5% la mattina dopo i risultati clamorosi e inaspettati). È possibile – non immaginabile – sulla base dei rapporti di forza che si sono venuti a creare sul terreno meramente parlamentare, che un governo anche di maggioranza relativa possa portare avanti ad esempio l’abolizione della riforma pensionistica di Macron o il salario minimo a milleseicento euro al mese?

Può essere possibile ma la contropartita non sarà certamente da poco se il NFP rimarrà unito e pretenderà – come gli spetta – di guidare il governo della Francia con un suo primo ministro. La stessa eventuale “cohabitation” con l’inquilino dell’Eliseo imporrà un compromesso tra le forze progressiste e quelle del centro più disposte ad allearsi con la gauche.

L’aver evitato la maggioranza relativa o assoluta del Rassemblement National è un risultato non da poco. Anzi, è una vera e propria piccola rivoluzione interna che ha, come è ormai evidente, ripercussioni sul piano continentale enormi. Immaginiamo lo scenario opposto: avremmo un governo a Parigi nero e grigio, fatto dei peggiori elementi del conservatorismo, del nazionalismo e del confindustrialismo. Sostenuti anche dalle destre moderate e, c’è da giurarci, da una parte della macronie.

Che i francesi abbiano, insieme, scelto di fare diga ed impedire questo futuro prossimo per il loro paese e per l’Europa è una notizia che è stata accolta con tutti i dovuti festeggiamenti. Ma ora si aprono scenari in cui, soprattutto a sinistra, si deve mettere in conto un cammino di lacrime e sangue.

Macron sottintende, nel mantenere Attal al suo posto all’Hôtel de Matignon, che ciò che temono i mercati è un nuovo frontismo popolare di novecentesca memoria: una stagione di riforme che guardi anzitutto al lavoro e non alle variabili dipendenti dei mercati. Una stagione politica e sociale in cui il sociale conti in politica tanto quanto la politica deve tornare ad essere coprotagonista dell’avanzamento dei diritti universali.

L’offensiva del capitale non tarderà a venire. A questa nuova prova le compagne e i compagni del Nouveau Front Populaire devono prepararsi, sapendo che a loro guardiamo anche noi e le sinistre di tutta l’Europa per comprendere se è possibile battere le destre sulla base del modello fancese. Un modello che unisce lotta e rappresentanza parlamentare. Lotta per i diritti civili e sociali.

Un modello che viene applaudito, abbastanza ipocritamente, da chi, ad esempio in Italia, ha votato le peggiori controriforme antisociali e ha aperto la strada alla valanga destroide che oggi occupa gli emicicli parlamentari e il governo del Paese. Un modello che noi comunisti applaudiamo sinceramente, sapendo che siamo una minoranza, peraltro nemmeno poi così rumorosa, ma certamente non silenziosa.

MARCO SFERINI

9 luglio 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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