Articolo 1 e articolo 3

E’ necessaria una grande pazienza per riuscire a replicare in maniera argomentata e tempestiva alle molte mistificazioni che vengono adottate dai sostenitori del “SI” nel referendum sulle deformazioni costituzionali...

E’ necessaria una grande pazienza per riuscire a replicare in maniera argomentata e tempestiva alle molte mistificazioni che vengono adottate dai sostenitori del “SI” nel referendum sulle deformazioni costituzionali che si svolgerà il prossimo 4 Dicembre.

In particolare sono due i punti fortemente battuti a questo proposito:

1) La negazione del nesso immediato esistente tra deformazioni costituzionali e nuova legge elettorale;

2) L’idea che le deformazioni stesse riguardino solamente la seconda parte della Costituzione del ’48, quella contenente le disposizioni relative alla struttura dello Stato.

Sul primo punto pare proprio che l’insieme del dibattito in corso, non soltanto tra studiosi e addetti ai lavori ma anche all’interno degli stessi soggetti politici, abbia largamente smentito l’affermazione riguardante l’indipendenza tra i due provvedimenti: quello costituzionale (per il quale è prevista l’applicazione dell’articolo 138, sulla base del quale andremo a votare nel referendum non essendo stata raggiunta in Parlamento la quota dei 2/3 nell’approvazione definitiva) e quello elettorale, sottoposto alle procedure della legislazione ordinaria.

Sul secondo invece s’insiste molto e ancora oggi si cita l’ostinazione dei legiferanti nella repubblica di Weimar nel voler difendere, nel momento della crisi della Germania alla fine degli anni ’20, nel non voler modificare quel testo costituzionale nel senso di voler aprire a un peso maggiore del Governo nei confronti del Parlamento, causando così con quella rigidità il varco che consentì a Hitler di arrivare al potere.

Il “caso italiano” di oggi è ovviamente affatto diverso, anzi deve essere ricordato che i Costituenti non affrontarono il tema del “Governo Forte” proprio per evitare pericoli di un ritorno al fascismo che, in quel momento costituiva un ricordo immediato e incombente.

Ed è proprio questo il tema sul quale soffermarci nello stabilire il mantenimento o meno di un certo tipo di collegamento tra la prima e la seconda parte della nostra Costituzione per cercare di capire se le deformazioni costituzionali sottoposte al voto ne incrinano o meno l’equilibrio a suo tempo stabilito con assoluta maestria legislativa e giuridica.

Esiste un punto assolutamente decisivo da ricordare: quello dell’appartenenza della sovranità e degli scopi che questa sovranità è chiamata a prefiggersi.

Per procedere in questo senso a un’analisi corretta è bene riportare per intero gli articoli 1 e 3 della Costituzione che, com’è ben noto, fanno parte dei principi fondamentali:

Articolo 1: “ L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”

Articolo 3: “ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese”.

A chi è affidata allora la capacità d’esecuzione di questi principi fondamentali ? Al Parlamento che, secondo il dettato dell’articolo 48 sancisce da un lato l’inviolabilità del diritto di voto e dall’altro assicura la partecipazione alla vita politica della nazione, in quanto gli elettori manifestano attraverso le loro preferenze, l’indirizzo politico e programmatico che ritengono migliore.

E’ proprio su questo punto che la Costituzione afferma inequivocabilmente la centralità del Parlamento, ed è su questo punto che le deformazioni costituzionali di cui si sta discutendo compiono uno strappo inaccettabile spostando l’asse di riferimento verso il Governo e sottraendolo ai consessi elettivi.

In verità questo fatto era già accaduto all’interno del sistema autonomistico con la modifica dei sistemi elettori comunale e regionale (quello provinciale è stato poi ulteriormente modificato addirittura varando l’elezione indiretta, che non incontra neppure il favore del ristretto corpo elettorale residuo se si guarda alla percentuale dei votanti nell’elezione delle Città Metropolitane).

Sistemi elettorali dei Comuni e delle Regioni basati sull’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Regione (incautamente chiamati Governatori dai media): meccanismo che abbiamo potuto constatare ha di molto diminuito il livello dell’effettivo confronto democratico e decisionale in quelle sedi.

Andando comunque per ordine: il filo rosso che lega la prima e la seconda parte della Costituzione come stabilito nel testo dell’Assemblea Costituente viene spezzato in quest’occasione attraverso alcune precise disposizioni contenute sia nel progetto di deformazione costituzionale sia nelle nuova legge elettorale:

1) Si afferma un’indebita supremazia del Governo sulla Camera, residualmente fiduciaria, intervenendo direttamente nel Calendario dell’Aula, stabilendo anticipi di discussione e tempi di approvazione per leggi che il governo giudichi di proprio interesse;

2) Si mantiene il bicameralismo, togliendo al Senato il voto di fiducia e squilibrando enormemente il rapporto numerico: da 630 deputati e 315 senatori, rimangono 630 deputati e 100 senatori (dopolavoristi: consiglieri regionali e sindaci in carica). Uno squilibrio che peserà moltissimo perché rimangono in comune di poteri di elezione del Presidente della Repubblica e della messa dello stato d’accusa dello stesso. Inoltre emerge uno squilibrio evidente nella facoltà di elezione dei membri della Corte Costituzionale: la Camera di 630 membri ne elegge 3; il Senato con 100 componenti ne elegge 2;

3) L’abnormità del premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale (con o senza ballottaggio) consegna, in pratica, il dominio dell’Assemblea a una sola lista (non sono previste coalizioni ma liste) che consegue la maggioranza assoluta e, attraverso la surrettizietà dell’elezione di un “capo della lista” elegge direttamente il Governo.

Si tratta di punti già noti e dibattuti, ma vale la pena ripeterli perché è proprio in questo modo che si violano gli articoli 1, 3, 48 della Costituzione che nel loro combinato disposto affidano la sovranità popolare al Parlamento attraverso l’eguaglianza nel voto.

La centralità del Parlamento viene così sostituita dalla centralità del Governo, eletto direttamente attraverso un premio di maggioranza fuori misura e che può sostituirsi agli organi della Camera nel determinare il calendario dei lavori.

Sono questi gli elementi davvero in gioco con il voto del 4 Dicembre e vale la pena rifletterci bene rifuggendo dall’utilizzo di comodi aggiustamenti della realtà politica e giuridica.

FRANCO ASTENGO

redazionale

12 ottobre 2016

foto tratta da Pixabay

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