Come far uscire l’Europa dalle secche
Fra la fine del XX secolo e gli inizi del XXI secolo, la globalizzazione del capitalismo ha portato ad un mutamento epocale della storia e della geopolitica planetaria: l’asse economico del Pianeta si è spostato dopo 500 anni dall’Atlantico al Pacifico, trasformando di fatto l’Europa occidentale in una “periferia” del mercato globale. Cerchiamo di analizzare meglio tale complessissima questione facendo un grande salto indietro.
Il capitalismo moderno nasce alla fine del medioevo, quando le cosiddette “esplorazioni geografiche” fanno sì che l’asse commerciale, centrato da almeno tremila anni sul Mediterraneo in quanto terminale di reti commerciali euroasiatiche che dalla Spagna si spingevano sino alla Cina, si fissi sulle opposte sponde dell’Atlantico. Dapprima si ha la crescita economica di Spagna e Portogallo, quindi, a partire dal XVII secolo, si determina il poderoso sviluppo dell’Europa nordatlantica, in primis dell’Inghilterra che, grazie all’afflusso di ricchezze determinato dal proprio imperialismo, vedrà lo sviluppo di una borghesia la quale, a sua volta, darà avvio nel secolo successivo alla rivoluzione industriale basata propriamente sulla disponibilità di capitali e di materie prime determinata dal proprio dominio coloniale. E’ l’epoca delle grandi banche, delle Compagnie, degli armatori, della schiavitù in Africa, del saccheggio dell’Asia e dei genocidi in America. E’ questo il segno ambivalente della modernità intesa come processo storico che,a partire dall’umanesimo, sancisce la progressiva presa di coscienza dell’Uomo misura di tutte le cose e l’emancipazione da dio come proiezione dei poteri costituiti, siano essi religiosi o politici:senza lo sviluppo della borghesia come classe indipendente dai vecchi vincoli feudali, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Il mondo come noi lo conosciamo, quello dell’industrializzazione, delle“democrazie liberali”, dell’americanismo, della rivoluzione tecnologica, non avrebbe potuto nascere senza quelle premesse il cui sole, come si è visto, nasce con delle ombre forse più grandi (se vogliamo fare un bilancio storico) della pur grande luce del metodo sperimentale, dell’illuminismo e delle rivoluzioni, anche di quelle più radicali.
Tutto ciò è andato irrimediabilmente in crisi a partire dagli inizi degli anni ’70 del Novecento, quando il capitalismo, nel momento in cui stava vincendola sua competizione coi sistemi di socialismo burocratico grazie all’innovazione tecnologica in grado di abbattere costi di produzione, trasporti ed organizzazione, si scontra con quel fenomeno che nel 1972 il club di Roma definì come “i limiti dello sviluppo”, ossia il Convitato di pietra ignorato clamorosamente dagli economisti classici chiamato “seconda legge della Termodinamica”: se il risveglio dopo il crollo di Bretton Woods e la crisi energetica fu per i Paesi capitalistici brusco, la“scoperta” della finitezza delle risorse fu letale: dopo i cosiddetti “Trenta gloriosi” , gli anni dal 1945 al 1975 in cui le politiche keynesiane di spesa pubblica, alti salari, piena occupazione, avevano sancito una sostanziale “tregua” fra capitale e lavoro tanto da far pensare ad un mondo nel quale, pur all’interno di un sistema basato sulla “libertà d’impresa”,(anche perché la paura occidentale del “comunismo”spingeva le classi dominanti a concedere ai lavoratori in termini di salario, diritti e potere molto più di quanto abitualmente volessero concedere) vi sarebbe stata una progressiva estensione di diritti a tutto il corpo sociale, la presa di coscienza del fatto che il Pianeta non possa essere sfruttato in eterno ha determinato una competizione sempre più feroce volta all’appropriazione globale di acqua, terra, risorse energetiche, cibo: la controrivoluzione neoliberista in quanto “lotta di classe al contrario” da subito nasce nel segno della mercificazione totale della biosfera.
In seguito al crollo dell’Unione Sovietica, lo sviluppo degli accordi internazionali di libero commercio, la finanziarizzazione spinta dell’economia e la delocalizzazione delle imprese, nel frattempo divenute transnazionali, determinano la sostanziale messa in mora dell’Europa come spazio produttivo e la sua trasformazione in quella che glia pologeti delle “grandi opere” chiamano “piattaforma logistica”: un continente intero visto come luogo di transito di merci prodotte in Asia, attraversato da autostrade, linee ad alta velocità o capacità, privo di un’autonomia produttiva e totalmente prono alle politiche di rigore il cui scopo reale è quello di appropriarsi di quei servizi sociali (scuola, sanità,pensioni) sino ad ora appannaggio del sistema pubblico.
Nel mondo del Terzo millennio, si produce in Asia (dove si inizia anche a consumare e dove non mancano neppure le risorse energetiche, altrove scarse o dall’approvvigionamento troppo dispendioso), e si consuma negli U.S.A., ove il keynesismo di guerra permanente garantisce al Paese più indebitato al mondo un mercato assai più redditizio di quello europeo. L’Europa, come si è visto, in tale quadro rischia di divenire esclusivamente una subcolonia delle multinazionali in cui un’erosione di diritti ormai iniziata quarant’anni fa tende a trasformarsi da palla di neve a valanga,qualora non si riesca a creare una sinistra anticapitalista continentale che si faccia intellettuale collettivo in grado di far germinare una nuova lotta di classe. Per ottenere questo, occorre in primis riaggregare le forze che nei diversi Stati nazionali risultano disgregate ed indebolite, tenendo presente che il ruolo degli Stati nazionali nella formazione di un’opinione pubblica orientata verso il dio Mercato è forte, e dunque occorre non sottovalutarlo nel nome del fatto che la “globalizzazione” li ha superati: essa li ha superati economicamente, ma la loro funzione ideologica e repressiva rimane ben salda. Alla base di tale riaggregazione dovrà porsi come ineludibile il tema di una inedita programmazione economica in cui le riforme di struttura vadano nella direzione di una pianificazione ecologica dell’economia e di una messa in discussione delle attuali forme di proprietà capitalistica attraverso la promozione di cooperative fra lavoratori in cui, mediante un consiglio di gestione, si superino gli attuali rapporti di produzione. Un programma a medio termine, dunque, che sappia far leva su una nuova idea di economia e di diritti come base per la costruzione di una sinistra europea radicale, di massa ed in grado di portare il Continente fuori dalle secche in cui è stato cacciato in seguito a decenni di governi neoliberisti, meri esecutori materiali di una controrivoluzione che rischia di portare il Pianeta intero al baratro.
ENNIO CIRNIGLIARO
redazionale