«La libertà economica si dimostrò subito dottrina di classe: gli strumenti di produzione, pur circolando, rimasero proprietà di una minoranza sociale; il capitalismo fu anch’esso un privilegio di pochi, che tendono a diventar sempre più pochi, accentrando la ricchezza per sottrarsi cosi alla concorrenza col monopolio. La maggioranza dei diseredati cerca allora nell’associazione il mezzo di resistenza e di difesa dei propri interessi. Le libertà, concepite solo per l’individuo capitalista, devono estendersi a tutti… Le associazioni proletarie educano gli individui a trovare nella solidarietà il maggiore sviluppo del proprio io».
Il brano è tratto da un articolo gramsciano del 9 marzo 1918, che testimonia di alcuni dei motivi più originali presenti nel Gramsci degli anni torinesi: un’idea di libertà nella solidarietà che viene posta alla base dell’alternativa socialista a un capitalismo che aveva tradito anche le sue stesse premesse e promesse liberali. L’articolo si intitola “Individualismo e collettivismo”, ed è ora riproposto nel nuovo volume pubblicato nell’ambito dell’«Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci», dedicato agli scritti del 1918: Scritti (1910-1926), vol. 3: 1918, a cura di Leonardo Rapone e Maria Luisa Righi (Istituto della Enciclopedia italiana, pp. 1004, euro 70).
Il libro raccoglie 344 articoli di varia lunghezza, restaurati nelle parti oscurate dalla censura attiva durante la Grande guerra. Gramsci nel 1918 era da tempo un prolifico giornalista militante della stampa socialista torinese e i suoi articoli erano non di rado ripresi nell’edizione nazionale dell’Avanti! diretta da Serrati o in altre edizioni locali o in altri giornali di partito. Sono qui presentati cronologicamente, dotati di un attento ma non eccessivo apparato critico, comprendente note esplicative e collegamenti interni ai testi. Con l’aggiunta di trenta pagine di utili Voci bibliografiche.
Come avverte la Nota al testo che apre il volume, rispetto alle precedenti edizioni sono una ventina gli articoli per la prima volta attribuiti a Gramsci. E altrettanti quelli fin qui creduti di Gramsci e ora esclusi. Non è superfluo ricordare che le difficoltà di attribuzione son dovute al fatto che nella stampa socialista del tempo gli articoli uscivano in genere non firmati. Va da sé dunque che, come ricordano i curatori, «l’attribuzione di tali articoli chiama in causa, in ultima analisi, la sensibilità e la soggettività dell’interprete», non separabile «da un certo grado di opinabilità». Resta sempre, in altre parole, su alcuni scritti controversi, la possibilità del dubbio, ma le inclusioni e le esclusioni sono sempre ponderate – e in alcuni casi controversi motivate testo per testo.
L’anno 1918 aveva immediatamente alle spalle sia la Rivoluzione russa dell’ottobre 1917, sia la coeva rotta di Caporetto, con le note conseguenze anche sui posizionamenti e sulle polemiche interni al mondo socialista. Come pure non lontani erano i quattro giorni di rivolta popolare dell’agosto 1917 a Torino, dopo i quali Gramsci – messosi già in mostra come scrittore colto e creativo e come appassionato militante della corrente «intransigente» – venne chiamato a ricoprire incarichi di maggiore responsabilità sia nella stampa socialista del capoluogo piemontese, sia nella locale Sezione (come erano chiamate allora le Federazioni) del Partito socialista, al quale aveva aderito fin da prima della guerra.
Si era parimenti alla vigilia del Biennio rosso 1919-1920, quando il giovane rivoluzionario sardo insieme alla sua rivista L’Ordine Nuovo emergerà – a livello non solo nazionale – soprattutto quale teorico dei Consigli di fabbrica, nonché dirigente socialista tra i più seguiti e apprezzati dalla classe operaia torinese.
Un anno cruciale, dunque. E molti sono i testi e gli argomenti rilevanti che il volume curato da Rapone e Righi ripropone: dalla polemica gramsciana contro la guerra, i nazionalisti, i militaristi e gli approfittatori alla riflessione in merito alle basi nuove su cui si cercava di pensare un equilibrio internazionale per il dopoguerra; dagli articoli sulla Russia rivoluzionaria a un anno dalla caduta dello zarismo e a pochi mesi dalla presa del Palazzo d’Inverno – nei quali tra l’altro Gramsci si pronunciava per i «Soviety» e contro l’Assemblea costituente («mito vago e confuso del periodo prerivoluzionario») – a scritti famosi e dirimenti, come “Il nostro Marx”, o alla miriade di riflessioni culturali (dai romanzi d’appendice alla critica storicista all’esperanto, alla ripresa – sulla scia delle posizioni del nuovo Commissario del popolo per la pubblica istruzione sovietico Lunacarskij – del tema dell’importanza della cultura per il proletariato) che costituiscono un filo rosso presente sia nel Gramsci degli anni precedenti sia in quello del periodo più maturo.
Da segnalare anche, tra i tanti articoli di cronaca e di riflessione polemica, un breve scritto sulla pandemia del tempo, la temibile «febbre spagnuola», che colpì lo stesso giovane sardo e che egli superò senza molti problemi.
La sola controindicazione a questo bel volume della «edizione nazionale» gramsciana sta nella difficile reperibilità dei volumi: stampati in non molte copie e soprattutto non poco costosi. Torno ad auspicare – come ho già fatto in passato – almeno una edizione in e-book: avrebbe un successo notevole, e anche un significato democratico.
GUIDO LIGUORI
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