La Signora in giallo Angela Lansbury, morta lunedì a 96 anni, aveva un’anima nera, gotica, contegnosa e in fondo divertita sullo stile Alfred Hitchcock per il quale vestì i panni, tailleur di tweed per l’esattezza, di Miss Froy in Il Mistero della Signora scomparsa (1979).
La si confonde facilmente con Mrs Marple, che ha interpretato in Assassinio allo specchio, coi personaggi della Christie, con Agatha stessa, per le atmosfere in cui si è sempre mossa, al gusto di tè con retrogusto di arsenico e vecchi merletti ingialliti come i capelli delle signore impiccione. Eppure il personaggio più riuscito, tra i diversi delle trame gialle che ha interpretato è stato quello provocante e sopra le righe, fin dal nome, di Salomè Otterbourne in Assassinio sul Nilo. Un film che l’ha vista dentro un cast di stelle algide e strepitose: David Niven, Maggie Smith, Bette Davis, persino Mia Farrow.
Se lo humor grigio fumo di Londra e l’aplomb servito coi pasticcini sono percepiti e disseminati in tutta la luminosa carriera artistica di Angela Lansbury, la sua componente fantasy e fantasmagorica è acquattata solo in alcuni preziosi lavori.
Per cominciare nella seconda pellicola della sua vita, è stata una Sibilla, Sybil, la fanciulla che si strazia per il Narciso affogato nel suo viso marcescente: Dorian Gray, in una storia che più sinistra e fantastica di così si muore, è il caso di dirlo. Sembra più giovane dei suoi vent’anni, eppure già arcaica, quasi atemporale, come lo sono le profetesse e le incantatrici di professione. La Lansbury ha sempre interpretato la madre o la facente funzione di madre (assistente, cameriera, baby sitter o care giver di altro genere) di gente appena più giovane di lei.
E anche quando è stata dichiaratamente strega, come nel film di Walt Disney del 1971 Pomi d’Ottone e Manici di scopa, e sul finale diventa inaspettatamente madre e moglie, si fatica ad associarla ad una alcova tiepida o a una cova di marmocchi. Il film di Disney è esemplare: Eglentine è apprendista stregona e già per questo ribalta un paradigma maschile, e lo è con qualche goffaggine ma molta determinazione, premurosa con gli orfani sfollati (lei stessa fuggi, bambina, dai bombardamenti di Londra) ma senza salamelecchi.
Svanita il giusto senza le durezze programmatiche di Tata Matilda (in cui pure interpretò una parte), capace come Mickey Mouse di animare oggetti e di accigliarsi per il disservizio delle poste britanniche (non le recapitano in tempo fegato di drago).
Non si prende sul serio come Minerva Mc Grannit, e non è attenta al look come Mary Poppins ; il suo Bert non è il baldo Dick Van Dyke ma l’altrettanto talentuoso David Tomlinson, occhi e guance cadenti ma virtuoso anche lui nella recitazione, anche accanto a figure animate (memorabile la scena in cui arbitra la partita di calcio con leoni e rinoceronti) e alla fine si fatica a pensarli amanti ma è chiaro che si amano.
Pudica e autoironica, non è patita dei fornelli (è Emelius Browne a cucinare) e non usa le arti magiche per rifare la stanze, semmai per vincere la guerra; impara a guidare la scopa come le prime donne l’auto o la moto, ma ha un acume introspettivo che le fa inquadrare i tipi psicologici al primo sguardo: è lei a intonare, mentre allestisce il letto magico, «L’età del non mi cucchi» diagnosi impeccabile di ogni ragazzino che valichi il confine tra infanzia e adolescenza «quando sempre vai girando a vuoto e alle fantasie non credi più/sei nell’età del non mi cucchi e indietro ormai non torni più».
E a proposito di cantare. Angela Lansbury lo fa con molta maestria nella Bella e la Bestia, sempre Walt Disney, dove doppia una teiera, per restare in tema di fantastico. Sembra più vecchia persino rivestendo il ruolo di una stoviglia, Mrs Bric paciosa mamma della tazzina sbeccata Chicco, accudente dispensatrice di consigli all’impaurita e orgogliosa Belle; eppure senza il suo canto il film perderebbe identità e gran parte del suo fascino.
Negli ultimi anni se la sono contesa in tanti, Angela dall’indole sulfurea, da ultimo anche il succitato Van Dyke nel sequel di Mary Poppins, ma forse il ruolo più eccentrico, magico e centrato è quello immaginato per lei da Neil Jordan nel 1984.
Il regista della Moglie del Soldato l’ha voluta ad interpretare la nonna eccentrica di Rosaleen, Cappuccetto Rosso horror protagonista di In compagnia dei lupi ; il film è l’adattamento dei racconti che la scrittrice Carter, come la Lansbury Angela e come lei di Londra, ha scritto a partire dalla storia di Perrault, rivista in chiave femminista, ribaltata in tutti i modi, dove il sottobosco è una caccia al tesoro, le nonne sono lupi, i mariti mannari, le bambine disobbedienti e alla frase «è per mangiarti meglio» ridono, perché sanno che nessuno farà di loro un sol boccone, senza il loro consenso.
E anche Lansbury ride in tutti i suoi cimenti teatrali, cinematografici e televisivi, malgrado le trame tetre, l’espressione intenta e carica di quella maturità a cui per convenzione si attribuisce saggezza; è vissuta un anno in più della sua Regina, il suo ritratto è invecchiato per lei, se l’è goduta ma al contrario di Dorian non ha avuto bisogno di uccidersi per purificare la sua anima.
SILVIA VEROLI
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