“il manifesto” annuncia per domani, 21 giugno, un inserto speciale per ricordare i 50 anni del primo numero della rivista uscita appunto il 23 giugno 1969.
Un anniversario di grande peso sul piano della memoria storica per una vicenda che tra rivista, quotidiano, gruppo politico ha segnato un pezzo significativo nelle complesse vicende della sinistra italiana e della sua area comunista.
L’inserto di domani potrà rappresentare davvero un documento significativo perché non può essere dimenticato il cammino compiuto sul terreno specificatamente politico.
Per chi è appartenuto, fin dall’inizio, all’area politica all’interno della quale il “Manifesto” è nato, all’epoca della rottura con il PCI e della rivista, (un’area politica che possiamo ancora definire “sinistra comunista”, riferendoci a quel tempo?) e anzi, ha anche partecipato in prima persona alla vicenda della costruzione di un soggetto politico di riferimento (quel PdUP un po’ negletto che, a mio giudizio personale, è stato forse più importante sotto certi aspetti, di quanto non sia stato considerato nelle diverse ricostruzioni storiche che, via, via, sono state elaborate) l’occasione è buona per ripercorrere un cammino e rammentare quanto sia cambiato il cielo sopra di noi e le cose che ci stanno attorno.
Pur tuttavia il tema di fondo, paradossalmente, sembra rimasto lo stesso: caduto il “socialismo reale”, venuta avanti la controffensiva liberista, mentre sono andate esprimendosi contraddizioni sociali non contemplate dal manuale di Stein Rokkan (quelle, cioè, definite dai politologi “post-materialiste”), è rimasta, per intero, la necessità di elaborare una prospettiva di profonda, radicale, trasformazione della società e della politica, perché sfruttamento, disequilibri, guerra sono ancora lì a dominare la scena del mondo.
La politica, almeno quella che avevano conosciuto nella nostra gioventù, pare proprio aver abdicato al proprio ruolo e lasciato spazi enormi, praterie che non si riescono a percorrere e che vengono occupate da un elemento classico delle modificazioni profonde tipiche delle fasi di “krisis”: i regimi autoritari, mutando di natura, come nel caso dell’Italia, sistemi politici che pure avevano vissuto fasi di democrazia avanzata.
Ecco, questa mia opinione sarà controcorrente: ripenso a questi cinquant’anni e intravvedo, alla fine, una parabola discendente: dall’idea ambiziosa di rappresentare il “punto critico” dell’idea più profonda e importante che la storia abbia prodotto attorno al tema del cambiamento, l’idea del comunismo che si era fatta partito, organizzazione, soggetto radicato nella società, fino a una sorta di “inseguimento” eclettico delle contraddizioni, senza l’elaborazione e l’offerta di una sintesi, come del resto sta proprio accadendo all’interno del dibattito di questi giorni.
Rimane, certo, la capacità di stare dalla “parte giusta” rispetto ad alcuni nodi cruciali: quello della democrazia, quello del movimento dei lavoratori, ma pare essersi affievolita la capacità di pensare a una prospettiva politica compiuta, a un’idea di “nuova egemonia”.
E’ bene ricordare allora quella fase ormai “storica” ma ancora fondamentale.
E’ esistita e può ancora esistere un’area politica della sinistra comunista, certamente inserita in un contesto di vera e propria “ricostruzione” di una presenza politica della sinistra italiana nel suo complesso partendo dall’insieme dei suoi filoni storici socialista e comunista.
Sono andato “a vela”, come si diceva una volta: ho messo insieme, pensieri un po’ disordinati, che mi sono venuti alla mente pensando a questi decenni di vita comune.
FRANCO ASTENGO
20 giugno 2019