All’origine dei “poteri forti” in Italia

L’attuale situazione di vero e proprio degrado nel quale versa il sistema politico italiano ha origini lontane nel tempo, diverse, complesse e collegate prima di tutte a fatti accaduti...

L’attuale situazione di vero e proprio degrado nel quale versa il sistema politico italiano ha origini lontane nel tempo, diverse, complesse e collegate prima di tutte a fatti accaduti nella fase definita della “Repubblica dei Partiti”.

La memorialistica contribuisce, a volte, a far capire meglio ciò che era successo nel passato fornendo utili chiavi di lettura per il presente.

E’ il caso dei “diari” (riferiti al periodo compreso tra il 1985 e il 1989) tenuti da un grand commìs dello Stato, passato tranquillamente – all’epoca – nel giro di poco tempo dai vertici dall’amministrazione al cuore del “salotto buono” della finanza fino a incarichi ministeriali: un iter, all’epoca, compiuto di slancio senza alcuna soluzione di continuità.

Questi “diari” molto meticolosamente redatti sulla base della consultazione dell’agenda quotidiana comprensiva degli appuntamenti mondani e salottieri, sono stati recentemente pubblicati e la loro lettura risulta sicuramente assai istruttiva per chi cerca di capire meglio lo stato dell’arte.

Da quei “diari” esce un intreccio tra politica, finanza, bel mondo.

Un bel mondo impegnato in continue riunioni (probabilmente molto stressanti) destinate esclusivamente a formare accordi per spostare pedine oppure per favorire, in diverse situazioni, incontri sulla base di una trama molto complessa comprendente tutto lo “demi – monde” della politica, della cultura, dello spettacolo, del denaro: l’impressione è davvero quella del “tutti insieme appassionatamente”.

Le sorti dei governi, dei partiti, dell’economia, della finanza si risolvono in un gioco interno a qualche sigla, tra Bildeberg, le cene dei “10” che poi diventano “12”, i pranzi quindicinali dei banchieri al Savini: uno scenario quasi irreale, immaginato soltanto pallidamente nei film di Scola, e invece tragicamente vero, all’epoca.

In tutto il corposo volume che – appunto – registra il giorno per giorno di questo agitato muoversi “per” e “verso” il potere, non si ravvede un accenno al conflitto sociale, che pure all’epoca aveva fatto registrare punte molto elevate di acutezza.

Le giornate, che so, storicamente segnate da grandi manifestazioni sindacali, scioperi, agitazioni sono invece segnalate per questa o quella cena, questo o questo o quell’incontro riservato, dal muoversi della tal corrente democristiana oppure dal palesarsi di una nuova cordato pro o anti Craxi.

Nessun accenno alla povertà crescente, alla disoccupazione indotta dalla logica delle privatizzazioni, all’esplosione dei conflitti a livello globale. Nulla di nulla del “mondo reale” e della sua contraddizioni stridenti.

Tutto si muove nell’ovatta di quel potere lontano, ben oltre l’affermazione della “autonomia del politico” in una visione il cui paragone più calzante sembra essere quello della Versaglia di Luigi XIV o del Balzac della “Commedia Umana”.

I protagonisti appaiono tutti indissolubilmente legati fra loro dalla comune appartenenza a un principio generale di ferocia individualistica nella gestione dei loro destini (l’autore poi spicca particolarmente da questo punto di vista e non sarà mai sfiorato da alcun sospetto nell’epoca delle grandi turbolenze) e tutto il resto assume la dimensione del “comprimario” compromesso in una consociazione di tipo “laterale”.

I comunisti si trovano così collocati in una dimensione di vera e propria subalternità culturale e morale e consultati soltanto per far sentire qualcuno tra loro “interno” al sistema, ma sempre lontano da qualsiasi possibilità d’incidenza propositiva.

I detentori del potere vero, invece, tutti assieme appassionatamente come si diceva alla Camera, al Ministero, al ristorante, nel salotto della contessa, allo stadio, in barca. Con grande attenzione all’assegnazione dei posti a tavola come in tribuna d’onore.

Naturalmente nel testo non si evince alcun accenno, alcun segno premonitore, alcuna avvisaglia rispetto a ciò che stava accadendo e sarebbe poi esploso nel giro di poco tempo sul terreno della moralità politica con l’esplosione di Tangentopoli.

Tutti i politici e i finanzieri che, nel giro di qualche anno, si sarebbe trovati pesantemente chiamati in causa nello scandalo che avrebbe segnato il destino di un’intera fase del sistema sono segnalati in questo testo per il loro attivismo nel determinare equilibri, senza che si rilevi un alcun minimo sentore di ciò che stava accadendo proprio in quelle stanze nelle quali il protagonista e sui comprimari si stavano muovendo con grande disinvoltura.

Leggendo cresce via via la sensazione che quella pentola alla fine avrebbe dovuto esplodere: così non fu come ben sappiamo perché l’abilità del “generone” che presiedeva a quello stato di cose seppe attuare una delle operazioni più trasformistiche che mai si sono verificate nella storia d’Italia all’insegna di “picconate” che mai si sono abbattute sul sistema e scambiando la formula elettorale come il nuovo feticcio del cambiamento con lo “sblocco del sistema politico” e “l’alternanza” intese come panacea di tutti i mali.

Formule usate come altissime cortine fumogene.

L’esplosione è arrivata più tardi, aperta da una davvero incauta ipotesi gattopardesca di “rottamazione” gestita dal centro di sistema.

Operazione di “rottamazione” per la quale non esistevano più le condizioni sociali e dal cui fallimento si sono aperte le cataratte del pressapochismo, dell’incultura, di un ulteriore rinnovamento nella ferocia della gestione del potere rivolto verso una società segmentata, sfrangiata, incattivita, percorsa da un “individualismo della paura” e apparentemente governata da una “partitocrazia qualunquista”.

FRANCO ASTENGO

22 gennaio 2019

foto tratta da Pixabay

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