Atlantia c’è, ma non è detto che sia un bene. Specie per gli 11mila lavoratori di Alitalia. Il quarto e indispensabile socio per la cordata ferro-stradale guidata da Fs con ministero dell’Economia e Delta alza la posta e allunga i tempi dell’operazione. Per avere i 350 milioni previsti, Benetton e soci – per il tramite di quel Giovanni Castellucci scampato per ora alle inchieste sul ponte Morandi – hanno preteso di avere tempi più lunghi e vogliono modificare profondamente il piano industriale già preparato dall’ad di Fs Battisti in combutta con il gigante americano.
Non ci voleva capire molto a capire che il piano era fatto su misura per i soci: taglio dei voli interni sostituiti dai treni, taglio del lungo raggio nelle zone già coperte da Delta.
Atlantia che detiene Aeroporti di Roma sa almeno fare i conti. E ha capito che così ci guadagnerebbero solo loro mentre Alitalia perderebbe come sotto Etihad. Ecco allora l’idea: chiedere di rinforzare il lungo raggio – il più redditizio – soprattutto verso l’Asia – a cominciare dalla Cina dove Alitalia non è presente – e il Nord America) con una riorganizzazione dei servizi di terra. E qua arrivano le cattive notizie: nonostante un tentativo di investire, Atlantia stima gli esuberi dei lavoratori di terra in molti di più dei 740 preventivati da Fs e Delta.
La possibilità che siano migliaia gli esuberi è reale. E anche la possibilità ventilata da qualcuno che per salvare posti di lavoro – e la faccia al governo – se li possa accollare Fs appare al momento molto complicata.
Sembrano quindi fuori luogo i peana del sindacati, ultimo quelli dei piloti Anp per l’arrivo «Atlantia che garantisce una seria professionalità e solidità economica». Mentre la convocazione al Mise tanto richiesta a Di Maio non arriva.
Detto questo come anticipato per mettere a punto il nuovo piano industriale ci sono ancora due mesi di lavoro: a decidere la nuova deadline sarà il Ministero dello sviluppo che, sulla base della lettera ricevuta da Fs, potrebbe fissare il nuovo – e quinto – termine per l’offerta vincolante e il piano industriale per il 15 o il 30 settembre. La compagine azionaria immaginata da Fs è questa: 35 per cento per sè, 15% al Mef, altro 35 per cento ad Atlantia e 15 per cento a Delta. Equivarrebbe ad avere una maggioranza pubblica e un asse privilegiato con Atlantia.
Ma questa volta potrebbe essere Delta – unico vero partner aereo – a non accettare le modifiche imposte da Atlantia. E magari a far marcia indietro, visto che le manifestazioni di interesse non sono ancora vincolanti.
Il tutto accade mentre Luigi Di Maio è impegnato in una imbarazzante inversione a U per far digerire al suo elettorato la scelta dei Benetton come salvatori della compagnia di bandiera. Più di una fonte parla di una trattativa tra il ministero dei Trasporti e la stessa Atlantia sul tema delle concessioni autostradali – che comunque scadranno nel 2038 – aperta in questi giorni: sarebbe stato questo a convincere Benetton (e soci) a far parte della traballante cordata.
Di Maio (con Toninelli) smentisce, ma deve affrontare la figuraccia di una indagine della Consob sulle conseguenze delle sue dichiarazioni contro Atlantia fatte due settimane fa: «Senza concessioni autostradali è un’azienda decotta, se entrasse in Alitalia farebbe perdere valore alla compagnia».
Ieri il vicepremier ha continuato a parlare di «rilancio», di «ruolo del Mise». E ha assicurato: «Seguiremo la scrittura del piano industriale che deve essere sui voli di lungo raggio e non deve sacrificare l’occupazione». Tocca invece al collega Danilo Toninelli la difesa della linea del M5s nei confronti di Atlantia: «Monitoreremo con molta attenzione perché se hanno fatto un’offerta che non sarà costruita seriamente da qua al 15 settembre ci arrabbiamo parecchio», aggiunge, e avverte: Atlantia «non pensi di aver fatto un’offerta sperando che nelle prossime settimane noi tiriamo i remi in barca. Noi non li tireremo». Ma non ci crede più nessuno.
MASSIMO FRANCHI
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