Alberto Perino, disobbediente a bassa velocità

Oltre trent’anni di resistenza No Tav, Alberto Perino, morto a 78 anni dopo una lunga malattia, è stato più di un leader. Ambiente e pace i suoi punti cardinali. La Valsusa piange

Una montagna di disobbedienza, è stato più di un leader. Il cappello in testa, la sciarpa rossa, la barba ispida, il timbro vocale inconfondibile marcato dall’accento piemontese e, poi, quella tagliente ironia montanara. Alberto Perino non poteva passare inosservato. Lo vedevi da lontano, non solo per la presenza fisica ma per l’innegabile carisma. Si è speso con coraggio anima e corpo nella lotta, oltre 30 anni di resistenza No Tav (e non solo). Si è spento a 78 anni nella tarda serata di giovedì, dopo una lunga malattia.

«Ricordare la sua figura monumentale per la Valle di Susa e per tutto il Movimento No Tav è difficile in queste ore di estremo dolore. Il vuoto che ci lascia sarà incolmabile. Una cosa però è certa: nel corso della sua vita ha saputo trasmettere a tutte e tutti noi la voglia di lottare contro ogni ingiustizia e devastazione ambientale. Se è da trent’anni che la Valsusa resiste è anche e soprattutto merito suo», si legge su notav.info in un ricordo intitolato «Ciao Alberto, a sarà dura», riprendendo lo storico grido d’orgoglio dei No Tav.

Dura, ma per loro, quelli che con la controversa grande opera volevano (e vogliono) sventrare una valle ostinata. Ostinata non perché affetta dalla sindrome nimby, bensì pervasa da un’idea di altro mondo dove, invece, di sperperare i soldi nel cemento si investe su un futuro sostenibile.

Originario di Bussoleno, trasferitosi dopo il matrimonio con Bianca a Condove, Perino si è sempre impegnato nei movimenti antimilitaristi e pacifisti. Tra i fondatori del Gruppo Valsusino di Azione Nonviolenta, stringe amicizia con il prete operaio Giuseppe Viglongo, scomodo alla chiesa locale e per questo senza parrocchia e ai cui insegnamenti rimarrà sempre legato.

Nel 1970 insieme riescono a convincere gli operai delle Officine Moncenisio a votare una mozione, praticamente all’unanimità, con cui gli 805 lavoratori si rifiutavano di produrre armi. Impegnato sindacalmente, da bancario era stato segretario provinciale dei bancari della Cisl, organizzazione da cui successivamente si allontanò.

Arriviamo così alla fine degli anni Ottanta, nel 1989, viene lanciata l’idea di una nuova ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione contro cui si muovono i primi cittadini – Nicoletta Dosio tra questi – preoccupati per l’impatto ambientale che provocherebbe. Nel 1991 nasce, infatti, il Comitato Habitat, l’organizzazione primigenia del movimento No Tav. Ne fanno parte ambientalisti, tecnici, professori del Politecnico, amministratori locali. Parte da qui una grande storia di resistenza arrivata fino ai giorni nostri.

Da Venaus nel 2005, quando dopo lo sgombero delle forze dell’ordine il movimento riuscì a riprendersi il presidio di Venaus impedendo l’insediamento del cantiere del tunnel geognostico, alla Maddalena nel 2011, a Chianocco nel 2012, Alberto Perino è sempre stato sulle barricate. Non si è mai tirato indietro, anche lo scorso 15 giugno, già molto affaticato, aveva voluto esserci alla manifestazione, che si era svolta a Susa, contro le mafie e il Tav. Ci teneva a chiamarlo al maschile: «Si dice Treno ad alta velocità, finché lo chiameranno al femminile non lo riusciranno mai a fare».

Amava citare Gandhi. Quando si diceva contrario a eventuali servizi d’ordine «nel momento dell’azione ognuno deve essere soldato e generale di sé stesso» o quando annunciava, in un’intervista al manifesto, come sarebbe stata una manifestazione nell’ottobre 2011: «Sarà un’azione di disobbedienza civile come quelle di Martin Luther King o Gandhi. Che significa violare leggi ingiuste, come tagliare le reti illegittime di un non cantiere».

Chiara Sasso, scrittrice, attivista No Tav e cugina di Perino, su voleralaluna.it – ricordando il merito di aver unito le anime del movimento – scrive: «Ad Alberto non si deve solo lo straordinario lavoro, di carte, di ricerca, di presenza ai presidi, alle manifestazioni, alle interminabili riunioni, si deve anche una certa leggerezza della lotta, un divertimento inserito in ogni situazione, cosa che ha permesso di portare avanti trent’anni di impegno. Ha saputo traghettare momenti difficili facendo convergere le anime diverse del movimento, il suo motto era: “cerchiamo quello che ci unisce e non quello che ci divide”. I nemici sono altri».

Alberto Perino ha incarnato in tutto per tutto le radici popolari che contraddistinguono il movimento No Tav. Quella dimensione che ha unito mondi diversi, generazioni lontane, si è saldata a un territorio e ne ha caratterizzato la forza collettiva.

MAURO RAVARINO

da il manifesto.it

foto: screenshot

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