Al G20 Putin il sovranista tifa Trump e cerca Bolsonaro

Russia. Al vertice di Osaka il presidente russo discute con il tycoon per 80 minuti di Ucraina, Siria e Iran. E in un'intervista al Financial Times va all’attacco di gay e migranti

Giornata intensa quella di Vladimir Putin ieri al G20 che si chiude oggi a Osaka. Moltissimi gli appuntamenti con premier e capi di Stato presenti al summit. Naturalmente in primo piano l’atteso faccia a faccia con Donald Trump con cui non si incontrava da quasi un anno.

Ottanta minuti di colloquio in cui, informano le agenzie, hanno «affrontato i nodi legati a Siria, Iran, Venezuela e Ucraina». Al termine dell’incontro poche dichiarazioni. Putin ha invitato il suo omologo americano a Mosca il prossimo 9 maggio, anniversario della fine della seconda guerra mondiale, e Trump ha motteggiato chiedendogli di «astenersi dal tentare di condizionare le presidenziali Usa».

Che Putin in cuor suo tifi per la rielezione del tycoon non è un segreto. Al Cremlino si è convinti che se finora i rapporti tra i due paesi sono rimasti tesissimi in parte sia dovuto alle barricate frapposte dall’opposizione democratica al dialogo con il capo della Casa bianca.

Sgonfiatosi il Russiagate, le cose potrebbero migliorare. Senza però chiudere gli occhi sul fatto che gli interessi strategici di Russia e Usa restano divergenti: gli Usa puntano a riconfermare il loro ruolo di pivot mondiale seppur declinante, la Russia a costruire un polo alternativo all’Occidente con la Cina che faccia leva anche sui paesi «scontenti delle gerarchie attuali». Non a caso ieri Putin ha voluto conoscere Bolsonaro proponendogli di riprendere il dialogo sulla riforma dell’Onu.

Con Trump ha parlato molto di Ucraina. Lo ha confermato il suo portavoce Dmitry Peskov a margine dell’incontro: «Il presidente Usa ha sollevato la questione della liberazione dei marinai ucraini arrestati durante la crisi nello stretto di Kerch lo scorso novembre e il presidente russo ha fornito le spiegazioni necessarie su questo tema».

Ventiquattro ore prima lo stesso Volodomyr Zelensky si era rivolto con una certa deferenza al presidente russo per chiedere «la liberazione di genitori quali noi stessi siamo, attesi a casa dai loro figli». Su questo aspetto qualche cosa sembra si muova visto che tra i «ribelli del Donbass» e il governo ucraino c’è stato proprio ieri uno scambio di prigionieri.
Ma Putin non è tipo da fare regali: prima di rilasciare i marinai vuole capire la reale volontà di Zelensky a intraprendere una trattativa seria sul Donbass e lo ha confermato a Trump. Che intende pensarci su.

I suoi spin doctors sostengono che qualche successo in politica estera potrebbe aiutarlo nella corsa alla rielezione e Ucraina e Venezuela potrebbero essere buoni «trofei» da sventolare. Ma sono state le dichiarazioni di Putin nell’intervista al Financial Times appena atterrato in Giappone a fare presto il giro del mondo. Un attacco frontale al liberalismo, al multiculturalismo, alle politiche dei diritti civili da sembrare addirittura una sorta di manifesto programmatico per la composita compagine del «sovranismo internazionale».

«La cosiddetta idea liberale moderna, a mio avviso, è semplicemente diventata obsoleta», ha attaccato Putin. In primo luogo l’ipotesi multiculturalista «come si è visto di fronte al problema delle migrazioni». Il refrain di Putin non ha nulla di particolarmente originale: i liberali «se ne stanno seduti nelle loro comode stanze, ma alla gente del Texas o della Florida che è alle prese con il problema degli immigrati chi ci pensa? L’idea liberale suggerisce che non è necessario fare nulla. Uccisioni, rapine, stupri: nessuno fa nulla perché sei un migrante, devono essere protetti i tuoi diritti. Ma quali diritti? Se violi la legge devi essere punito», ha puntualizzato Putin, indossando per un giorno la felpa salviniana.

Lo «zar» non ha mancato neppure di difendere i «valori tradizionali»: «Ci dicono che siamo omofobi e così via. In realtà non abbiamo nulla contro i gay. Dio li benedica, lasciamoli vivere come meglio credono. Ma alcune cose ci sembrano ridondanti. Per quanto riguarda i bambini poi si è inventato di tutto…ci sono ormai 5 o 6 sessi…non abbiamo niente contro nessuno ma non dobbiamo dimenticare la cultura, le tradizioni e le fondamenta della famiglia tradizionale», ha concluso il capo del Cremlino.

YURII COLOMBO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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