«Stiamo indagando con la massima urgenza», aveva assicurato Karim Khan, il procuratore capo della Corte Penale Internazionale (Cpi), quando a fine ottobre aveva visitato il valico di Rafah. Ora, a sei mesi di distanza, il tribunale delle Nazioni Unite con sede nei Paesi Bassi (a l’Aia), sarebbe pronto a emettere tutta una serie di mandati di cattura.

Nell’elenco, a quanto è dato sapere, leader e quadri di Hamas, per l’attacco terroristico del 7 ottobre, ma anche i vertici dello Stato di Israele per la risposta militare nella Striscia di Gaza ritenuta “esagerata” persino dagli Usa. Le richieste d’arresto potrebbero includere addirittura il premier israeliano Benyamin Netanyahu, assieme al ministro della difesa del suo governo, l’estremista di destra Yoav Gallant, e il capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (Idf) Herzi Halevi.

Da quando la notizia ha iniziato a circolare, rivelano al manifesto fonti interne alla Corte, sono iniziate forti pressioni degli Stati Uniti per cercare di evitare che ciò possa accadere. «Da giorni arrivano telefonate molto pesanti, anche da governi di primissimo piano, cercano tutti di salvare almeno Netanyahu», rivela una delle fonti interne alla Cpi.

Il Wall Street Journal già il 26 aprile pubblicava un editoriale non firmato in cui inviata Biden e il premier britannico Sunak a intervenire sulla Corte. Nella sostanza quella del potente giornale dell’establishment politico-finanziario americano era un’ingiunzione: l’inizio del fuoco di sbarramento. Il primo ministro israeliano, a quanto pare furioso, ha fatto muro: «Sotto la mia guida, Israele non accetterà mai alcun tentativo da parte della Corte penale internazionale di minare il nostro diritto all’autodifesa».

Nel frattempo, il ministro degli esteri israeliano Israel Katz ha messo in guardia tutte le delegazioni diplomatiche dello Stato ebraico all’estero di «prepararsi immediatamente a una grave ondata di manifestazioni antisemite, antiebraiche e anti-israeliane a livello globale».

In una nota diffusa dal suo dicastero, Katz ha affermato che «non c’è niente di più distorto che tentare di impedire a Israele di difendersi da un nemico assassino che chiede apertamente la distruzione dello Stato di Israele». Aggiungendo poi che «se i mandati verranno emessi, danneggeranno i comandanti e i soldati dell’Idf e incoraggeranno l’organizzazione terroristica Hamas e l’asse islamico radicale guidato dall’Iran contro il quale stiamo combattendo».

La Corte Penale Internazionale è l’unico tribunale internazionale permanente al mondo con il potere di perseguire individui accusati di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità. Per arrestare coloro che sono menzionati nei mandati di cattura, non disponendo di forze di polizia proprie, fa affidamento su quelle dei suoi 124 Stati membri, che includono la maggior parte dei Paesi europei ma non Israele o gli Stati Uniti.

La Palestina invece ne fa parte, motivo per cui la Cpi se ne può occupare, anzi la firma nel 2016 anche degli emendamenti di Kampala ha consentito di arrivare al numero di ratifiche necessarie (30 Stati) per l’attivazione della giurisdizione della Corte anche sul crimine di aggressione.

La Palestina si è rivolta alla Cpi la prima volta nel 2009 dopo l’operazione Piombo fuso. Ma allora la Corte non prese nessuna decisione. L’allora procuratore capo, l’argentino Luis Moreno Campo, disse di non sapere se la Palestina fosse uno Stato ai sensi dello statuto della Corte. Poi l’Assemblea generale dell’Onu ha riconosciuto la Palestina come Stato osservatore. E nel 2015 dopo l’operazione Margine Protettivo, la Palestina si era rivolta di nuovo alla Corte.

A fine 2019 la procuratrice Fatou Bensouda ha concluso l’indagine preliminare e nel marzo 2021 sono state aperte le indagini. Pochi mesi dopo, la nomina a procuratore capo di Karim Khan, il quale ha nominato come coordinatore capo dell’inchiesta l’avvocato conservatore britannico Andrew Cayley, già di suo contrario ad un’azione della Corte sulla Palestina. Da procuratore capo militare in Gran Bretagna, Cayley aveva chiuso tutte le indagini sui crimini di guerra commessi dalle truppe britanniche in Iraq, impedendo alla Cpi di indagare in merito perché ufficialmente lo avevano già fatto le autorità nazionali.

Il raid terroristico guidato da Hamas lo scorso 7 ottobre ha provocato la morte di circa 1.200 persone in Israele e il rapimento di circa 250, la maggior parte dei quali civili. La successiva guerra nella Striscia di Gaza, compresi i pesanti bombardamenti israeliani, hanno ucciso oltre 34.000 persone (anche in questo caso in maggioranza civili) e portato quella “prigione a cielo aperto” sull’orlo della carestia.

«L’emissione di un mandato di cattura da parte della Cpi nei confronti del premier Netanyahu e dei suoi ministri chiave, al pari di quello per il presidente russo, Vladimir Putin per la guerra in Ucraina, non avrebbe effetti immediati ma una grande valenza internazionale – sottolinea la nostra fonte – facendo ripartire l’azione finora insabbiata della Corte sulla Palestina».

ALESSANDRO DE PASCALE

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria