Di Citto artista e figura centrale della cultura comunista in Italia so che scriveranno i competenti. Ma non posso fare a meno, nel momento in cui è venuto a mancare, di ringraziarlo pubblicamente su questo giornale nonostante la mia gratitudine abbia motivazioni aggiuntive del tutto personali: Citto è stato il primo comunista che io ho conosciuto e che ha avviato il percorso che mi ha poi portato, appena compiuti 18 anni, ad iscrivermi al Pci.

E poiché tutt’ora quando mi chiedono perché mi dico comunista rispondo «innanzitutto per via della storia del comunismo italiano, ortodosso e non», capirete quanto Citto ha contato e conta nella mia vita.

Accadde nel 1945, appena finita la guerra. Era il 4 maggio quando già si scatenò lo scontro su Trieste italiana. Quel giorno fu promossa la prima manifestazione che ne rivendicava l’appartenenza al nostro paese e le scuole di Roma furono coinvolte e esortate a scioperare con la compiacenza di molti presidi, figuratevi come era quello della mia scuola, il Tasso, di cui allievi erano stati fino al 25 luglio del ’43 ambedue i figli di Mussolini, Romano e Anna Maria.

Io aderii con entusiasmo: mio nonno triestino era stato il migliore amico e compagno di lotta di Guglielmo Oberdan e insieme erano scappati diciottenni dall’Impero Asburgico per non servire nel suo esercito.

Arrivati col nostro corteo nella piazza che allora si chiamava Esedra, oggi della Repubblica, la trovammo affollatissima e ricordo come se fosse ieri che mi rivolsi a una compagna di scuola e le dissi felice: «Guarda come è riuscita bene la manifestazione».

Non avevo capito che in realtà a popolare la piazza erano i comunisti che ci picchiarono di santa ragione. E con ragione: la nostra manifestazione era stata in realtà promossa da un gruppo neofascista guidato dal capitano Penna Bianca che contemporaneamente assaltò con i suoi, armati, la direzione del Pci che allora stava all’inizio di via Nazionale.

Seguì un confuso tafferuglio, intervenne la polizia e io mi ritrovai contusa per il colpo sulla spalla dell’asta di una bandiera monarchica, a sedere ammaccata sui gradini della piazza. (Particolare curioso che però vi fa capire i tempi: «l’Unità», per minimizzare, titolò il giorno successivo Studenti e operai fraternizzano sull’altare della pace, perché fra gli scontri una buona parte dei partecipanti lì era arrivata tutt’altro che fraternamente).

Ma fra quelli che come me erano ancora a Piazza Esedra arrivò invece un piccolo drappelo di comunisti che avevano appena respinto l’attacco del capitano Penna Bianca, fra loro un triestino, il compagno Iacchia.

Che improvvisò un comizio raccontando cosa noi italiani, all’inizio del fascismo, avevamo fatto agli slavi che abitavano da tempo il Friuli: la prima pulizia etnica che ci sia stata, più crudele di quella poi imposta ai palestinesi. Ascoltai meravigliata. Sorpresa di sentire cose mai sapute, riflettei sul fatto che a casa mia gli sloveni venivano chiamati «sciavi», schiavi. Fu allora che mi chiesi: «Ma ci avessero ragione proprio questi comunisti?».

L’indomani andai a cercarli nella mia scuola, dove sapevo che avevano messo su un Circolo culturale. Per primo trovai un ragazzetto più giovane di me, ma coltissimo e che era persino riuscito a collaborare, bambino, alla Resistenza. Era Citto Maselli. Che mi informò sui loro programmi e mi chiese subito se volevo collaborare. Saputo che facevo il pittore (carriera poi interrotta proprio per via del Pci che assorbì tutta la mia immaginazione) mi chiese se ero disposta a tenere una conferenza nientemeno che sul cubismo.

Accettai lusingata e insieme terrorizzata: quel primo contatto con Citto e gli altri del Tasso – i fratelli Savioli e quelli Bertelli, Lietta Tornabuoni ecc. , tutti in seguito diventati illustri collaboratori dell’«Unità» – mi aveva fatto scoprire ragazzi tanto più colti di me e dei miei soliti amici che è tremando che svolsi il primo compito che il Pci mi chiese di assolvere.

Come potete capire con Citto poi non ci siamo più persi, sebbene lui sia diventato un intellettuale importante e io, per anni, una militante da «borgata» della federazione romana: ci autodefinivamo con orgoglio «la fanteria», e con qualche diffidenza chiamavamo giornalisti e intellettuali del nostro stesso partito «la Marina», notoriamente l’aristocrazia militare.

Ma Citto fece sempre eccezione. Basterebbe pensare a come partecipò al ’68. Guidando la rivolta contro il Festival di Venezia. Quando il Pci fu sciolto, nel 1991, passò a Rifondazione e lì ci ritrovammo.

C’è un bel documentario che girò Citto parecchi anni fa in cui compariamo io e lui a sedere davanti al portone del Tasso, guardando le scritte se non ricordo male della Pantera, riepilogando le tappe felici e difficili di tutta la nostra comune vita di militanti. Ho raccontato molte volte la storia di questo mio reclutamento, e mi scuso con chi l’ha già sentita. Ma la ricordo qui perché è il mio modo di ringraziare ancora una volta Citto, che mi ha dato l’occasione di poter dare senso alla mia vita. Grazie Citto.

LUCIANA CASTELLINA

da il manifesto.it

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