Helmut Berger, se n’è andato, a 78 anni, a Salisburgo. «Ho provato di tutto nella vita, ma resto sempre la vedova di Visconti», dichiarava. A suo tempo lo avevano definito «l’uomo più bello del mondo». A Venezia è stato presentato un documentario su di lui realizzato da Andreas Horvath regista austriaco, ma per tutti è stato un momento dimenticabile. Più che un racconto biografico una sorta di provocazione che inizia con l’immagine del sedere di Helmut e si conclude con una masturbazione.
Non che la vita di Berger sia stata irreprensibile, sotto molti punti di vista, ma mettere quasi alla berlina un uomo ormai anziano, sfatto da alcol e stravizi, quasi irriconoscibile, non è stato un bel servizio.
Anche se lui stesso per realizzare la sua autobiografia si era affidato a una giornalista tedesca, Holde Heuer, libro uscito in Germania con il titolo Ich Die Autobiographie, nonostante a Helmut non fosse piaciuta. Secondo l’attore lei, in quanto donna, aveva smussato troppo, non aveva osato dire esplicitamente tutto quello che lui le aveva raccontato. Inoltre, lo stesso editore temeva racconti che coinvolgevano personaggi noti.
Forse uno dei pochi casi in cui il protagonista di una biografia si sente rappresentato meglio di quanto lui volesse considerarsi in realtà. Ludwig me lo sono sentito mio. Lavoravamo soltanto di notte, con orari impossibili. Visconti girò 16 ore di film e io per sei mesi non vidi la luce del giorno. (Helmut Berger)
La biografia professionale di Helmut, poliglotta, giramondo che rifugge dall’attività alberghiera di famiglia dice che nel 1964 ventenne, dopo aver vissuto qualche tempo a Londra arriva in Italia, studia a Perugia, frequenta corsi di teatro. È davvero bellissimo.
Il caso lo porta a Volterra per una ricerca sugli etruschi. Lì Luchino Visconti sta girando Vaghe stelle dell’orsa. Claudia Cardinale gli presenta il regista. Scocca la scintilla. Ma Visconti è un perfezionista, non ha intenzione, per il momento di portare su grande schermo il suo pupillo. Lo farà qualche anno dopo in uno degli episodi di Le streghe, dove Helmut fa praticamente il maggiordomo pronunciando solo frasi di circostanza.
Artisticamente deve ancora farsi le ossa. Partecipa a un paio di film e solo nel 1969 Luchino lo trasforma in protagonista con La caduta degli dei. Un’idea venuta a Visconti su indiretto suggerimento dell’attore che gli ha fatto conoscere l’ultimo rappresentante della dinastia dei Krupp.
La carriera sembra decollare. Vittorio De Sica lo dirige in Il giardino dei Finzi Contini, «voleva recitassi come lui ma non ne ero capace», poi altri tra cui Duccio Tessari con cui stabilisce un buon rapporto. Ma è di nuovo Visconti a costruirgli un monumento con Ludwig, cui seguirà Gruppo di famiglia in un interno. Partecipa anche a Salon Kitty di Tinto Brass.
Quando nel 76 muore Visconti, se ne va anche un pezzo di Helmut che inizia una sorta di inarrestabile discesa agli inferi, di infinite partecipazioni a serie tv, film, sceneggiati, compreso Il padrino 3 di Coppola, ma la magia è ormai ottenebrata, gli abusi incidono sulla bellezza e non lo aiuta un matrimonio etero. Ora la «vedova» può raggiungere il suo compagno, come aveva in fondo sempre sognato.
ANTONELLO CATACCHIO
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