È morto ieri sera a Cagliari il più grande centravanti del calcio italiano. Gigi Riva è stato mille cose: artefice di uno scudetto incredibile con il Cagliari, volto ieratico che ha segnato un’epoca, miglior cannoniere di sempre in maglia azzurra, uomo che ha detto no al potere.
Gigi Riva è stato anche l’immagine di un calciatore che volava nel cielo. È il 18 gennaio 1970, stadio Romeo Menti di Vicenza. Al ventesimo del secondo tempo Gori scatta sulla sinistra, arriva sul fondo e crossa in mezzo. In area Domenghini fa da torre e rimette al centro un pallone spiovente.
Gigi Riva è lì, spalle alla porta e circondato da due difensori, allora decide di salire. E sale, si alza in cielo, vola. E quando è più in alto di tutti, oltre il campo, sopra le nuvole, si libra in una rovesciata perfetta e poderosa. È gol. Uno dei gol più belli di sempre. Uno dei ventuno gol con cui, in quella stagione, Riva porta lo scudetto a Cagliari. Una delle più grandi imprese sportive di sempre. Gigi Riva non era cagliaritano.
Era nato a Leggiuno, provincia di Varese, dove il calcio lo aveva salvato da un’infanzia terribile segnata da lutti dolorosi, di quelli inaccettabili per un bambino.
Di quelli che ti fanno passare la voglia di ridere, per sempre. A Cagliari ci arriva per caso, in Serie B. E subito se ne vuole andare. Invece resta. E non se ne andrà mai più. A furia di gol, quasi sempre segnati con il sinistro, quasi mai festeggiati, se non alzando un pugno al cielo, porta la squadra in Serie A. E poi nelle posizioni di vertice.
Di lui si accorge Edmondo Fabbri, il commissario tecnico della Nazionale. Ma proprio quando sembra che le cose possano andare bene, che finalmente ci può essere un motivo per sorridere, il fato si accanisce di nuovo: frattura del perone. Addio Cagliari, addio Italia. Bisogna ricominciare da capo.
Riva comincia di nuovo a correre a tirare, a correre e a tirare. E torna in campo, e torna il Cagliari nell’alta classifica, e torna l’Italia a vincere: campioni d’Europa nel 1968 grazie ai gol di Riva, uno anche in finale contro la Jugoslavia.
Di lui si accorge però anche Giampiero Boniperti, che fa carte false per portarlo alla Juventus. Ma Riva dice no, sta bene in Sardegna. Quella terra dura e spigolosa, capace di rivelarsi tenera e accogliente con chi lo merita, si adatta perfettamente al suo carattere. È il gran rifiuto, il primo di una serie.
Riva dice senza mezza termini che vuole giocare per la sua terra, per una terra oramai diventata sua, e non per i padroni. Le parole che usa sono le stesse che in quegli anni di assalto al cielo si sentono nelle fabbriche e nelle piazze. Gianni Brera scomoda il Risorgimento e le gromme savoiarde. Lui corre e tira, corre e tira. Segna. Ha già parlato troppo. A Cagliari nel frattempo arriva Manlio Scopigno, l’allenatore filosofo.
Arriva anche, va detto, il petroliere Angelo Moratti, ex proprietario dell’Inter e padrone della raffineria Saras, un mostro che inquina e uccide a pochi chilometri dallo stadio.
Nessuna storia è perfetta, nessun racconto può mai essere innocente. Nel 1970 lo scudetto del Cagliari resta lo stesso un’impresa incredibile, la purezza non è di questo mondo. Lo stesso Riva non si è mai atteggiato a capopopolo, a eroe risorgimentale. La sua figura somiglia molto di più a quella degli antieroi che cominciano a diffondersi nell’immaginario italiano dell’epoca: i pistoleri solitari degli Spaghetti Western, con il loro bagaglio di dolore e la loro personale concezione della giustizia.
Dopo lo scudetto Riva trascina a suon di gol la Nazionale al secondo posto ai Mondiali di Messico 70, e potrebbe continuare. Ma il destino è di nuovo in agguato. Un nuovo infortunio con la Nazionale, il Cagliari eliminato agli ottavi dalla Coppa Campioni.
Il secondo posto dietro la Juve adesso non basta più. Boniperti torna all’attacco, il Cagliari in pratica lo ha già venduto, ma lui rifiuta di nuovo. Intanto se ne va Scopigno, se ne vanno gli amici di Gigi, tutti venduti o allontanati per fargli il vuoto intorno. Lui no, lui resta. Il 25 ottobre del 1973 segna un’incredibile punizione a San Siro contro l’Inter.
È allora che Brera lo ribattezza Rombo di Tuono. Ma nessun eroe può mai sfidare il destino, soprattutto se questo ha deciso di giocarti contro fin dalla più tenera età. E sei giorni dopo, ecco un nuovo infortunio con la Nazionale: l’ultimo.
A ventinove anni la carriera del più grande cannoniere italiano, ancora oggi è suo il record di 35 gol, è praticamente finita. Non finisce l’amore di Riva per la Sardegna e per Cagliari, dove decide di rimanere. Lo si poteva incontrare la sera a passeggiare in centro. O al solito tavolo del solito ristorante.
Fino a ieri. Oggi è tornato a volare, sopra le nuvole. Pronto a librarsi in una rovesciata perfetta e a infilare il pallone in rete. Pronto a ribadire per sempre il suo no al potere.
LUCA PISAPIA
foto: screenshot tv