Il ministro per lo sport e i giovani, Andrea Abodi, come la maggioranza al governo, ama dio, la patria e la famiglia. Ma solo la famiglia patriarcale. La famiglia umana invece, quella fatta di relazioni più ampie e variegate, anche omosessuali, quella no. Il ministro non la ama proprio. Non ama le sue «ostentazioni».
Lo ha dichiarato lui stesso ieri mattina, intervenendo alla trasmissione 24 Mattino su Radio 24. Il conduttore gli ha chiesto cosa pensasse del ritorno in Italia, nel Cagliari di Ranieri, di Jakub Jankto, ex centrocampista di Ascoli, Udinese e Sampdoria. Jankto aveva fatto notizia in tutto il mondo lo scorso febbraio, quando giocava in prestito nello Sparta Praga e aveva deciso di fare coming out. «Sono gay», disse in un video postato sui social.
L’annuncio non era stato fatto a cuor leggero, come lui stesso aveva spiegato. Anche perché nel mondo del calcio è assai difficile dire certe cose. Il primo che lo fece, Justin Fashanu nell’Inghilterra degli anni Novanta, finì con impiccarsi in un garage. Abbandonato da tutti. Da allora in pochissimi lo hanno fatto, per lo più giocatori di seconda fascia o a carriera terminata. In Italia nessuno.
Forse perché in Italia non ce ne sono mai stati, o almeno così disse il tecnico campione del mondo Marcello Lippi. «In quarant’anni di carriera da giocatore e allenatore non ho mai conosciuto nessuno che fosse gay». Chissà. In effetti dell’unico allenatore di cui si scrisse apertamente che fosse omosessuale, Carlo Carcano, non si sa nulla. Il suo nome è un tabù, ancora impronunciabile a un secolo di distanza. Eppure vinse quattro scudetti consecutivi con la Juventus, tra il 1930 e il 1934. E avrebbe dovuto andare ad allenare la Nazionale, essendo lui il vero teorico del «metodo», lo schema tattico per cui è poi diventato invece universalmente noto Vittorio Pozzo. Ma l’Italia lo ostracizzò, e su di lui calò un tombale silenzio.
Non a caso Jankto, al momento del coming out, aveva aggiunto un bel carico da novanta. «Mi ha aiutato molto essere a casa per fare coming out. Se fossi stato in Spagna o in Italia non lo avrei mai detto». E quanto affermato ieri da Abodi a Radio24 ha solo confermato che Jankto ha fatto benissimo. «Non faccio differenze di caratteristiche che riguardano la sfera delle scelte personali. Se devo essere altrettanto sincero non amo, in generale, le ostentazioni, ma le scelte individuali vanno rispettate per come vengono prese e per quelle che sono», ha detto Abodi. Le preferenze sessuali, per un ministro che dovrebbe occuparsi di politiche giovanili, oltre che di sport, sono dunque «ostentazioni». Una bestialità di una gravità assoluta, peggiorata dalla proverbiale toppa che è arrivata ad allargare il buco.
Rispondendo su Twitter a uno dei mille utenti che giustamente si indignava per le sue dichiarazioni, Abodi ha specificato: «Ho parlato di rispetto. Poi, posso non condividere alcune espressioni del Pride?». Eccolo il tic nervoso dell’omofobo, incontrollabile come sempre. Il disprezzo per la manifestazione consapevole, colorata, eccessiva, e soprattutto militante e rivendicativa.
Il ministro «non ama» la terribile «ostentazione» di una identità che mal si coniuga con il vero amore, quello sobrio e morigerato che si cela all’interno della famiglia patriarcale. Quello eterosessuale, che talvolta porta i figli maschi a essere accusati di stupro e i padri a difenderli. Magari con una violenza inaudita, ma sempre con garbo e cortesia, senza ostentare nulla.
LUCA PISAPIA
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