«Basta perder tempo dietro a Pisapia e a D’Alema». Lo ripete quasi ossessivamente Maurizio Acerbo, abruzzese recentemente eletto segretario nazionale di Rifondazione Comunista. Lo incontriamo a margine di una festa di partito, al termine di un dibattito sulle grandi opere. Acerbo è preoccupato per il percorso della lista di sinistra che dovrebbe nascere in alternativa al Pd e che sta subendo la “melina” di altre formazioni che «hanno interesse che non nasca niente di davvero alternativo». «Se ci fossimo mossi prima, forse la gente di sinistra non avrebbe riposto i suoi ideali nel Movimento 5 stelle. Di Maio e Di Battista, come Salvini e Renzi, ragionano sulla base della convenienza elettorale. Come sull’immigrazione». Acerbo sta girando l’Italia in lungo e in largo per spiegare le sue convinzioni, pure domani ha la sveglia all’alba per andare dall’altro capo d’Italia, avendo giusto lo spazio di tre ore per dormire nel divano-letto di un compagno di partito.
Mentre lo intervistiamo in una mano regge un telefono cellulare con lo schermo frantumato con cui si è appena accertato delle condizioni dell’europarlamentare Eleonora Forenza, da poco rilasciata dalle forze dell’ordine a margine delle manifestazioni contro il G20. Nell’altra mano tiene la maglietta donatagli dagli RSU Fiom dell’Electrolux in sostegno di Augustin Breda, operaio e RSU recentemente licenziato dalla sua azienda dopo che era stato spiato fuori dalla fabbrica da un detective privato.
Allora Acerbo, con chi va fatta questa lista di sinistra?
Con le persone che fanno cose di sinistra e con tutte quelle formazioni che in questi anni hanno fatto opposizione da sinistra a Gentiloni, a Renzi, a Letta, a Monti.
Niente D’Alema quindi?
No. D’Alema e la sua formazione stanno tutt’ora sostenendo il governo, anche quando fa cose che di sinistra non hanno nulla, come la reintroduzione dei voucher appena tolti per evitare il referendum che li avrebbe abrogati.
Però l’area di D’Alema, Pisapia e Bersani ha partecipato all’assemblea al teatro Brancaccio e sostiene che un accordo a sinistra si deve fare. Chi decide allora chi può stare dentro a questa lista e chi ci deve rimanere fuori?
Lo decidono le persone di sinistra, dal basso. Per me ogni giorno perso per cercare l’unità coi responsabili di 25 anni di politiche neoliberiste è un giorno sottratto a costruire l’unità della sinistra nelle strade, tra chi non ha più un lavoro, tra chi chiede diritti.
Corbyn e Sanders hanno avviato percorsi molto radicali dentro alle formazioni che erano state di Blair e di Clinton. Non le viene il dubbio che si possa intraprendere da outsider la sfida dentro un accordo col PD?
No. Corbyn e Sanders da oltre trent’anni sono outsiders coerenti coi loro principi che sono i nostri stessi principi. Né dentro il Pd né tra i predicatori di un accordo col Pd c’è qualcuno che dall’interno abbia fatto opposizione vera, votando costantemente contro alle schifezze fatte dagli ultimi governi. Di Corbyn e Sanders nel centrosinistra non ne vedo l’ombra.
Siamo comunque ancora daccapo. C’è un’area che spinge per fare l’accordo col Pd e che sta paralizzando quel che è nato all’incontro al teatro Brancaccio. Chi vuole questa paralisi e perché?
C’è una idea diffusa a sinistra, sostenuta da diversi intellettuali, come anche dal Manifesto, secondo cui bisognerebbe mettere tutti assieme. Il risultato è che il progetto di Bersani e Pisapia va avanti mentre quello di una sinistra radicale ed alternativa al PD è in stand by. Pare ci sia un comandamento nelle tavole della legge secondo cui “Non avrai altra sinistra al di fuori del centrosinistra”. Lo pensano in tanti, e su progetti come quello di Pisapia mi pare ci sia anche l’endorsment di Repubblica. Noi invece pensiamo sia un errore politico grave rincorrere Pisapia rincorrendo quindi il Pd. Come nel resto d’Europa serve una sinistra forte, alternativa alle politiche del Pd che non è altro che una destra economica, chiamiamo le cose col proprio nome. Io l’unità non voglio venga fatta con questa gente qui. Devono esserci invece coloro che in questi anni, come noi, sono stati all’opposizione, hanno manifestato in piazza. Parlo anche delle realtà che rimasero fuori da Altra Europa, come i sindacati di base e Eurostop. E’ fondamentale che il carattere di questa formazione sia di radicale rottura con l’establishment e che quindi permetta a milioni di persone che sarebbero d’accordo con noi, di trovare una sinistra degna di questo nome. Non è questione di aggettivi ma di fatti.
Facciamo ordine allora: che passi andrebbero fatti ora?
Io credo che i promotori dell’assemblea al teatro Brancaccio dovrebbero lanciare una campagna di adesioni in tutto il paese, su pochi punti semplici e definiti che allo stesso tempo descrivono le cose essenziali del programma e definisca il confine di una intesa. Credo che da questo punto di vista la relazione introduttiva di Montanari al Brancaccio è stata molto buona, sia per contenuti sia per l’orizzonte del progetto, un’ottima base. Poi debbono moltiplicarsi in modo strutturato assemblee territoriali in tutta Italia per mettere le radici a questa lista. Queste cose vanno fatte subito, senza aspettare un minuto di più, senza farsi inscatolare da una cosa vecchia e sbagliata come quella di piazza S.Apostoli. A Montanari e Falcone dico di andare avanti.
I tempi appunto. Indipendentemente dalla data del voto non siete già in ritardo?
Certo. Sta cosa doveva partire cinque anni fa dopo il disastro del governo Monti, ma SEL e altri di sinistra non ci diedero retta. Avevamo una possibilità anche subito dopo le elezioni Europee, quando la lista che avevamo composto superò il 4%. Si doveva lanciare una campagna di adesioni per trasformare la lista in progetto politico. Oggi saremmo stati in grado di non porci il problema della soglia di sbarramento. Sinistra Arcobaleno e Rivoluzione Civile insegnano che le somme matematiche di sigle realizzate all’ultimo minuto non servono a niente.
Liste e programmi come vanno scelti?
Li devono scegliere dal basso gli aderenti. Ma deve nascere subito uno spazio, filar dietro a Pisapia e D’Alema è una perdita di tempo.
Lei è segretario di Rifondazione Comunista da tre mesi. Come ha trovato il suo partito?
Rifondazione è un vero elemento di alterità in un paese di voltagabbana. Nove anni fuori dal parlamento e resistiamo ancora, certo rimaneggiati, ma resistiamo senza chiuderci in noi stessi. Questo partito ha aperto le sue porte a diversi tipi di vertenze, da quelle sui beni comuni a quelle sul lavoro e i diritti sociali. Rifondazione è una risorsa per costruire una sinistra alternativa alle politiche disastrose degli ultimi anni.
ENRICO BALDIN
foto tratta dal profilo Facebook di Maurizio Acerbo