A sei anni dal sequestro da parte della magistratura dell’acciaieria di Taranto per inquinamento e successivo arresto di Emilio Riva, la vertenza Ilva è ad un passo dall’essere risolta. Alle 15 di ieri – dopo una no stop di quasi 30 ore di trattative – AmInvestCo, sindacati e governo hanno sottoscritto l’accordo che ora dovrà essere validato dal referendum (vincolante) fra i 13.522 attuali dipendenti del gruppo Ilva.
L’esito però appare scontato così come revocato è lo sciopero di martedì. Il 15 settembre le nuove società – denominate ArcelorMittal Italia – inizieranno a riassumere 10.700 dipendenti (di cui 8.200 a Taranto rispetto agli attuali 10.900). Per i restanti 2.822 – che rimarranno in cassa integrazione garantita a carico dell’amministrazione straordinaria di Ilva – c’è la certezza di ricevere «una proposta di assunzione dal 23 agosto 2023 e non oltre il 30 settembre 2025» nella cosiddetta «clausola di salvaguardia occupazionale». L’alternativa per loro è «un incentivo all’esodo modulato» tramite 250 milioni messi a disposizione da Mittal: 100mila euro subito, a scalare di 20mila euro l’anno fino al 2023. Si prevede che a Taranto accetteranno fra i mille e duemila lavoratori, quelli vicini alla pensione.
La svolta alla trattativa che mercoledì sera era «lontanissima da un accordo» è arrivata nella notte. Uilm, Fiom e Usb – la Fim Cisl non ufficilamente – hanno riconosciuto al ministro Di Maio di aver imposto a Mittal di accogliere in pratica tutte le richieste dei sindacati: alzare da 10.300 a 10.700 gli assunti immediati («una quota quasi aderente a quelli che lavorano oggi», sottolinea Francesca Re David), garantire a tutti un’assunzione alla scadenza delle bonifiche ambientali, mantenere diritti (articolo 18) e salari per i riassunti, con anche il Premio di risultato garantito sebbene limitato al 3% della retribuzione lorda (oggi per alcuni è al 7%) per il 2019 e 2020, con negoziazione nel 2019 per rinnovarlo.
Per quanto riguarda Genova, per l’Ilva di Cornigliano i sindacati con in testa la Fiom guidata da Bruno Manganaro, chiedevano il rispetto dell’accordo di programma del 2005 che prevedeva il mantenimento dei livelli occupazionali. Nella bozza di mercoledì sera non c’era alcun accenno; nel testo finale c’è un paragrafo dal titolo «Disposizioni per Genova Cornigliano» che garantisce il posto agli attuali 1.474 dipendenti con 1.000 che dovrebbero essere assunti subito.
Le nove pagine di accordo (e le 11 di allegati a cui mancano ancora le modifiche al piano Ambientale concordate col ministero guidato da Sergio Costa) firmate alle 15 sono state salutate da tutti gli attori in gioco come «un grande risultato», a partire dal presidente Mattarella. Il più felice di tutti è certamente Luigi Di Maio. Il vicepremier si è affrettato a scendere le scale e a dichiarare davanti ad uno stuolo di microfoni la sua soddisfazione. Parla di «miglior accordo possibile nelle peggiori condizioni possibili, con una gara viziata e illeggittima, ma l’accordo raggiunto fa sì che cada l’interesse pubblico necessario per annullare la gara vinta da ArcelorMittal per l’acquisizione di Ilva» e annuncia «una legge speciale per Taranto, investimenti perché non dipenda più dall’acciaieria come oggi».
La sua strategia – minacciare Mittal di annullare la gara per ottenere più avanzamenti possibili – si è rivelata molto più vincente di quella di Carlo Calenda: la sua proposta di maggio rifiutata dai sindacati prevedeva solo 10.500 riassunzioni e 1.500 posti a tempo in una società Invitalia, non di Mittal.
Il dubbio è che tutte le concessioni riconosciute da Mittal possano avere come contropartita uno sconto sugli 1,8 miliardi di costo per comprarsi l’Ilva stessa. Ma è anche vero che i franco indiani non hanno mai avuto una acciaieria come questa – Taranto è la più grande in Europa – e potrebbero aver trovato «una gallina dalle uova d’oro». Idea confermata dalle parole di Aditya Mittal, il presidente: «Siamo convinti che sotto la nostra gestione possa avere un grande futuro».
I sindacati, dopo l’ora di «panico» dovute ad alcune trappole inserite da Mittal nel testo, sono altrettanto soddisfatti. «Avevamo sempre detto che non avremmo firmato un accordo con un solo esubero e così abbiamo fatto», ricorda Rocco Palombella (Uilm). «L’accordo è figlio dell’importanza del sindacato», sottolinea Marco Bentivogli (Fim). «Abbiamo salvato la siderurgia, l’ultimo asse strategico industriale rimasto in Italia», rivendica Francesca Re David (Fiom). «Abbiamo fatto un lavoro sindacalmente pulito», conclude Sergio Bellavita (Usb).
MASSIMO FRANCHI
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