I cambiamenti nel panorama politico italiano si susseguono senza soluzione di continuita e interessano un po’ tutti gli schieramenti. Se ancora soltanto prima della chiusura forza di marzo e aprile pareva che il centrodestra a trazione leghista fosse praticamente un moloch inossidabile e non degradabile dal tempo, oggi effettivamente agli acciacchi di una già logora Forza Italia si aggiungono le prime avvisaglie di vento contrario per la Lega ma, soprattutto, per Matteo Salvini.
Andrea Scanzi ha più volte suggerito, come sintesi perfetta di questa evidenza, il concetto “acciaccato“: il capitano sovranista ha imboccato alcune secche e gli infelicissimi approdi della Toscana alle regionali e dei ballottaggi di domenica scorsa lasciano presagire una strada tutta in salita per quel radicamento al Sud cercato da un partito che ha tentato una operazione che va oltre il trasformismo.
L’invenzione salviniana della nuova Lega, tolto quel “Nord” che lo lascia privo di sindaci persino a Lecco, Saronno, Corsico e Legnano (non fosse altro che per la città simbolo dei Comuni ribelli al Barbarossa), sembra aver patito più di altri gli strascichi pesanti di una pandemia che ha rinserrato gli italiani attorno al governo visto, con comprensibile emozione più che con vera convinzione politica, come il piccolo padre cui aggrapparsi per sfuggire alla malasorte che ci flagella.
Una occasione di rivincita Salvini la potrebbe avere proprio dopo il parziale superamento dei suoi famigerati “decreti sicurezza“: detto fatto, si dice pronto a raccogliere le firme per promuovere dei referendum abrogativi in merito alle nuove norme scritte dal governo. E una possibilità di entrare a gamba tesa nel dibattito politico-mediatico tutto improntato sul coronavirus e molto poco su quella “invasione” di migranti tanto paventata e mai avvenuta, perché era semplicemente inesistente.
Due debolezze però, si usa dire, non fanno una forza: ed infatti, se da un lato la Lega tribùla e prova a stanare nuovi motivi di gratuito odio contro lo straniero, il diverso, il delinquente, dall’altro questa crisi sovranista non viene rimarcata abbastanza e delineata pienamente nei suoi contorni a causa delle frizioni interne all’esecutivo e, segnatamente nella sua maggioranza, dentro le forze stesse che lo sostengono. PD e Movimento 5 Stelle si fronteggiano praticamente su tutto: dal MES ai diritti umani, dalla politica interna propriamente detta a quella estera.
In una intervista di qualche giorno fa, il ministro Luigi Di Maio ha dichiarato a “La Stampa” di riconoscere di avere una buona intesa politica con il segretario di stato americano Mike Pompeo, ambasciatore del trumpismo nel mondo; salvo poi mettere al centro del dialogo con il giornalista la scelta di non ritorno, l’imprescindibile alleanza con un PD che è divenuto l’interlocutore necessario per un movimento alla deriva, che rischia un congresso litigioso, fatto di carte bollate se Davide Casaleggio insisterà con il suo proposito di non lasciare il simbolo al M5S se dovesse diventare un partito.
A parte il fatto che il movimento grillino un partito lo è già: anzi, lo è divenuto proprio nel momento in cui da opposizione si è trasformato in forza di governo, con la Lega prima e col PD poi. Ha bruciato le tappe, non c’è che dire, ma è fuori di dubbio che si possa considerare l’M5S di oggi così come lo si percepiva anche soltanto cinque anni fa.
Il fronte è schierato: da un lato Casaleggio e Di Battista con i puristi; dall’altro Di Maio e i governisti con un Beppe Grillo che non cela il suo appoggio all’alleanza di governo attuale da replicare anche nei territori. L’unica prova in tal senso, quella ligure, è andata decisamente male e non può al momento fare da apripista ad una stagione di clonazione dell’asse di maggioranza che pure sembra necessario, almeno in termini numerici, per vincere nella toranta del 2021 quando andranno al voto Milano, Torino, Roma, Bologna, Napoli. Non proprio quei piccoli comuni, pure importanti, dove la Lega ha perso…
In questo senso il test amministrativo del prossimo anno ripropone la sfida del tutto per tutto incarnata dalle regionali appena passate. Si giocherà una partita nazionale visto il peso delle grandi città e delle metropoli che rappresenteranno un campione certo per avere un sondaggio nazionale sulla tenuta o meno del governo e sullo stato di salute di una destra di opposizione che avrà tutto il tempo di organizzarsi facendo leva sulle difficoltà interne all’esecutivo e sugli umori popolari che, a seconda di come evolverà la curva pandemica, potranno esasperarsi o tranquillizarsi.
Le incongnite sullo scenario politico italiano sono innumerevoli e non è possibile prescindere dalla condizione economica del Paese, dalla mancata piattaforma di rilancio che avrebbe dovuto realizzarsi in una contrattazione tra le parti sociali: invece Confindustria attacca quel minimo di politiche sociali messe in essere dal governo e come alternativa propone l’aggravio delle condizioni dei lavoratori addossando loro il pagamento dell’IRPEF, reclamando – in sostanza – sempre più sgravi fiscali e aiuti mirati alle imprese.
I padroni, del resto, esercitano a pieno titolo il loro ruolo e lo fanno sapendo di avere davanti un governo che, stretto tra Covid-19 e imposizioni di Francoforte, dovrà sottostare ai dettami che regolano le tempistiche di accesso al Recovery Fund creando occasioni di revisione del comparto sociale a tutto vantaggio dell’economia privata. Il paradosso è necessario al capitalismo per poter esistere e resistere in un passaggio non semplice per la globalizzazione dei mercati.
Una buona parte della maggioranza è di vocazione liberista (Cinquestelle, larga parte del PD e tutta Italia Viva); quel che rimane di socialdemocratico e timidamente liberale (Sinistra italiana da un lato, Articolo Uno dall’altro) non ha nessuna incidenza nei programmi di governo a questi livelli, quando in ballo vi sono le liquidità fornite da Bruxelles e legate a vincoli internazionali, sempre sotto la lente di ingrandimento dei paesi “frugali“.
Davanti alle pastoie burocratiche che possono venirisi a creare per lo sblocco delle risorse europee nei confronti del nostro Paese, il ministro Gualtieri ha già fatto cadere ogni pregiudiziale sui tempi e sui modi della restituzione dei prestiti: tutto è rimandato al 2026.
Intanto i sovranisti possono evocare il cappio al collo che ci aspetta dopo la pandemia, fare appello al popolo per contrastare quel poco di umanità mostrata dal governo contro i decreti sicurezza (approvati a suo tempo da un partito tutt’ora in maggioranza e in larghissima maggioranza nel Parlamento) e sperare così di risalire la china e riaprire una partita che, se ben giocata, può guarire ogni acciacco e vedere il malato perfettamente in forma e lo scattante atleta giallo-rosa cascare rovinosamente a terra.
MARCO SFERINI
7 ottobre 2020
Foto di Gisela Merkuur da Pixabay