La vertenza Whirlpool approda a Palazzo Chigi: mercoledì prossimo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, incontrerà le parti. Ad annunciare la convocazione è stato il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, durante il colloquio con Fim, Fiom e Uilm. Ieri c’è stata l’ennesima giornata di lotta da quando, lo scorso 31 maggio, il management ha annunciato la chiusura del sito di Napoli dove si producono lavatrici: 420 dipendenti, che salgono a circa mille con l’indotto, cancellati con una spunta rossa su una slide. Un annuncio che ha stracciato gli impegni presi con il Piano Italia sottoscritto al Mise il 28 ottobre 2018. Ieri in 2mila (su 5.565 dipendenti diretti) sono arrivati a Roma per la manifestazione nazionale: 500 dalla Campania, gli altri dai siti in Lombardia, Marche e Toscana, dove hanno scioperato per otto ore. Per sindacati e lavoratori l’annuncio di Patuanelli apre un piccolo spiraglio: «Auspichiamo che l’incontro di mercoledì significhi portare il confronto a un’interlocuzione con il board Usa, l’unico in grado di decidere la marcia indietro». La palla deve passare al premier perché si attivino i canali diplomatici. Al ministero gli operi ci sono arrivati tra cori e striscioni («Napoli non molla» in italiano e in inglese perché il messaggio fosse chiaro) ma, soprattutto, mettendo in scena il funerale della lavatrice made in Campania con tanto di croce, lumini e fiori, portata a spalla da quattro operai.
«Whirlpool mi ha scritto una lettera con qualche elemento di novità – ha spiegato Patuanelli ai sindacati -. Intende concordare le modalità per ritornare al tavolo ma la mia richiesta è sempre la stessa: fermare la procedura di cessione per poter ricominciare a ragionare». Per poi aggiungere: «L’esperienza delle ristrutturazioni ex Whirlpool sono una preoccupazione». Il gruppo Usa avrebbe manifestato la volontà di «discute le condizioni per ristabilire un clima sereno» ma di tornare sui suoi passi non fa cenno. Il 17 settembre l’ad di Whirlpool Italia, Luigi La Morgia, ha annunciato la dismissione di Napoli attraverso la cessione del ramo d’azienda alla svizzera Prs – Passive refrigeration solutions. Presentata come una start up svizzera con un brevetto innovativo per la costruzione di container refrigeranti, varie inchieste giornalistiche hanno svelato che si tratta di una società con appena 180mila franchi di capitale sociale, senza siti produttivi in Europa, uno dei suoi soci si è già cimentato due volte nel settore collezionando due fallimenti. Il management svizzero ha anche ammesso di non avere ancora un piano definito per Napoli e di aver discusso l’eventuale assorbimento di 300 dipendenti su 420.
I due precedenti di reindustrializzazione sul curriculum di Whirlpool, del resto, non sono brillanti. Nel 2015 il gruppo Usa assorbe Indesit. A Carinaro, nel casertano, su 815 dipendenti in produzione ne restano 320 con la nuova proprietà, anche per loro c’era un progetto. In 75 dovevano andare alla Seri per realizzare batterie al litio: 15 sono stati assorbiti, gli altri 60 dovevano subentrare dal primo ottobre ma sono sorte altre difficoltà e, dopo quattro anni, dovranno attendere ancora. «I restanti 245 – spiega il segretario della Fiom di Caserta, Franco Percuoco – sono in contratto di solidarietà con la paga ridotta. Il sito non produce più ma fa solo la logistica, a regime può assorbire massimo 190 lavoratori, per gli altri era prevista una ulteriore reindustrializzazione che non c’è mai stata. Se chiude Napoli c’è il rischio che Caserta segua la stessa sorte».
E poi c’è la piemontese Embraco di Riva di Chieri: 470 lavoratori che con la nuova proprietà, Ventures Production, avrebbero dovuto realizzare robot per la pulizia di pannelli voltaici e invece sono fermi perché manca ancora il piano industriale così, giovedì scorso, il ministero ha dovuto prolungare gli ammortizzatori sociali. «Bene la convocazione a palazzo Chigi ma se Whirlpool vuole tornare al tavolo di confronto il governo deve ottenere il ritiro della procedura di vendita del sito di Napoli», il commento di Fim, Fiom e Uilm. «Il ritiro della procedura di cessione è il minimo – chiarisce il segretario generale Fim, Marco Bentivogli – visto che, in caso contrario, dal 12 ottobre il sito passerebbe a Prs. Allo scadere della fase di consultazione l’azienda, con o senza accordo, avrà la mano libera». E la segretaria generale della Fiom, Francesca Re David: «È la prima volta da anni che una vertenza industriale va alla presidenza del Consiglio. In tutti gli stabilimenti è stata altissima l’adesione allo sciopero, c’è la consapevolezza che al disimpegno su Napoli possa seguire il disimpegno in Italia. Le multinazionali vanno e vengono senza pagare alcun prezzo, la crisi la pagano solo i lavoratori».
ADRIANA POLLICE
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