Aumentano gli occupati – quelli a tempo indeterminato più di quelli a termine -, calano i disoccupati e gli inattivi. Dal punto di vista numerico il mese di novembre è stato positivo come pochi sul mercato del lavoro. L’Istat ieri ha certificato che il tasso di occupazione, raggiunge il 59,4% con un +0,1 punti rispetto a ottobre ed è il più alto registrato dall’inizio delle serie storiche, avviate nel 1977. Le persone con un lavoro in Italia toccano quota 23 milioni 486 mila, in crescita di 41 mila unità. Su base annua la crescita è di 285mila.
Se mese su mese c’è una leggera crescita per i disoccupati (+12mila) è invece sensibile il calo (-72mila) degli inattivi, anch’essi al minimo storico a 13 milioni e 55 mila.
Il tasso di disoccupazione si conferma sotto la doppia cifra – 9,7 % – ma c’è un segnale in controtendenza per quello giovanile (15-24 anni) che a novembre risale su ottobre portandosi al 28,6% (+0,4 punti). Analizzando le classi di età c’è una leggera crescita degli occupati nella fascia 35-49 anni mentre quella 50-64enni, da anni in aumento, sembra essersi ormai esaurito il cosiddetto «effetto Fornero» – si rimane al lavoro più a lungo rispetto a prima – che nei primi mesi del Jobsact aveva drogato le statistiche facendo esultare senza motivo i renziani.
Se il premier Giuseppe Conte («dati incoraggianti» e la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo («ottime notizie, notizie di record storici in tema lavoro») festeggiano, l’analisi comparata ci riporta al tappeto: il tasso di occupazione – seppur al massimo storico (59,4%) – ci lascia posto in Europa, prima della Grecia, mentre il tasso di inattività – seppur in calo al 34% è tra i primi in Europa.
Gli occupati dipendenti crescono di 63mila unità, composti da 67mila permanenti e da un calo di 4mila a termine. Dopo crescita dei mesi scorsi calo di 22mila indipendenti che sono ormai sempre più altalenanti. Nel trimestre gli occupati a termine crescono di più di quelli permanenti (36mila contro 26mila) ma su base annua sono i permanenti a trainare la crescita con +283mila
L’Istat non dà valutazioni qualitative e dunque non sappiamo quanti di questi nuovi occupati abbiamo contratti part time involontari, sospetto più che legittimo in un mondo del lavoro che rimane precario e senza diritti.
L’aumento degli occupati a tempo indeterminato potrebbe essere figlio della fine dei primi 12 mesi dopo il Decreto Dignità – che ha ridotto il numero di rinnovi possibili e reintrodotto la causale – ma anche della scadenza di tanti altri contratti a termine iniziati negli scorsi anni.
«I dati apparentemente positivi, in particolare quelli relativi a giovani e donne, diffusi oggi dall’Istat, non devono sottacere i gravi ritardi del nostro mercato del lavoro – commenta la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti – . La stima mensile non è sufficiente a dare significative indicazioni di tendenza. C’è una sostanziale stagnazione, così come in tutto il 2019. In Italia – prosegue – il lavoro è precario per più di 3 milioni di persone; la disoccupazione continua, oramai da quasi dieci anni, ad essere il terzo tasso più alto d’Europa, dopo Spagna e Grecia; pesantissimo il divario di genere (gli uomini occupati sono il 70%, mentre le donne il 50%), drammatico quello territoriale (divario occupazionale Nord-Sud è di quasi il 30%, con alcune regioni settentrionali sopra il 75%, e alcune meridionali appena sopra il 40%. Tutto ciò con una marcata ripresa della cassa integrazione». La Cisl dal canto suo sottolinea un buco di «500 milioni di ore lavorate rispetto al 2008».
MASSIMO FRANCHI
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