Wafiq Abu Sido le sente ancora le bombe che esplodono a poche decine di metri da casa sua, a Beit Hanoun, nel nord di Gaza, abbandonata assieme a moglie e figli due settimane fa. «Non c’è più la nostra casa – racconta – (gli israeliani) l’hanno buttata giù con un missile, me l’ha detto un cugino scappato dopo di me. Non abbiamo più nulla».
Oltre a dover assicurarsi ogni giorno che i pochi aiuti umanitari disponibili garantiscano a lui e alla sua famiglia almeno cibo e acqua, Abu Sido, 47 anni, vive in condizioni igienico sanitarie a dir poco precarie assieme ad altre migliaia di sfollati in una scuola dell’Unrwa (Onu) a Rafah.
«Andiamo il meno possibile ai gabinetti, solo a vederli ci si ammala», dice lo sfollato palestinese «viviamo nella sporcizia, dormiamo su pavimenti calpestati da migliaia di persone, siamo ammassati in un’aula assieme ad una decine di famiglie. È un miracolo che i miei figli più piccoli non si siano ammalati». Ma le malattie infettive si stanno diffondendo tra gli sfollati in linea con la previsione fatta giorni fa dall’Oms e da varie ong.
Era inevitabile di fronte a 670mila civili che dal nord si sono spostati a sud spinti dall’invasione di terra israeliana. La diarrea, specie nei bambini, è il risultato scontato della mancanza di acqua pulita e delle pessime condizioni igieniche. Medici e infermieri provano a combatterla ma gli antibiotici scarseggiano e spesso non possono far altro che dare a chi sta male del paracetamolo.
Servono i pannolini, li chiedono le mamme che devono cambiare i figli più piccoli sette-otto volte al giorno. Quelli disponibili non bastano. Ci vorrebbero rifornimenti straordinari ma gli aiuti umanitari che entrano dal valico di Rafah, largamente insufficienti (appena 272 camion dall’inizio dell’offensiva) raramente li includono. La Mezzaluna rossa è costretta a privilegiare l’acqua, i generi alimentari di base e soprattutto attrezzature e medicine salvavita per gli ospedali.
Mancano anche gli assorbenti, tante donne di Gaza prendono farmaci per bloccare le mestruazioni. Non poche di loro hanno partorito in scuole e rifugi dell’Unrwa in condizioni indescrivibili e rischiando la morte. Ieri dopo 26 giorni di guerra è stata concordata una breve apertura del valico di Rafah anche per le persone.
Ciò ha consentito l’uscita di 81 palestinesi gravemente feriti portati in ospedali egiziani. Hanno potuto lasciare Gaza alcuni operatori umanitari stranieri e cittadini palestinesi con doppia cittadinanza. Tra loro ci sono il capo missione della ong italiana CISS, Jacopo Intini, con la responsabile di area, Amal Khayal.
Dal 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas al sud di Israele (1400 morti e 240 presi in ostaggio), le bombe sganciate dagli F-16 e dai droni su Gaza, hanno ucciso 8.805 palestinesi, tra cui 3.650 bambini e 2.252 donne. 22mila i feriti. L’ha comunicato il ministero della sanità. Disperse circa 2.000 persone, tra cui 1.100 bambini. In realtà si sa bene dove si trovi gran parte di quei dispersi. Sotto le macerie di migliaia di case, edifici e palazzi abbattuti dall’aviazione.
Per le autorità israeliane queste cifre sarebbero false, gonfiate ad arte dalla propaganda di Hamas e descrivono i civili palestinesi uccisi vittime di una presunta scelta del movimento islamico e di altre organizzazioni armate di usarli come «scudi umani».
Gli aerei, affermano, puntano solo ad Hamas e alla sua rete di gallerie sotterranee. Una narrazione che i palestinesi respingono con forza mentre le organizzazioni umanitarie denunciano che i raid hanno preso di mira aree densamente popolate. Anche la Bbc conferma attacchi su zone residenziali, anche nel sud, analizzando dati su una serie di raid compiuti fra il 10 e il 25 ottobre in settori della Striscia suggeriti da Israele come potenziale rifugio per i civili.
Gli aerei ieri sono tornati a prendere di mira il campo profughi di Jabaliya già bombardato massicciamente martedì quando i soccorritori hanno estratto dalle macerie decine e decine di morti. Ieri altri uccisi nel rione Faluja. «Una nuova strage simile a quella di martedì» ripetono gli abitanti del campo profughi più grande di Gaza. Per le Nazioni Unite il bombardamento di Jabalia potrebbe configurarsi come crimine di guerra.
Intorno a Jabaliya e al capoluogo Gaza city si combatte una battaglia cruenta, spietata, che è costata la vita a molte decine di uomini delle Brigate Qassam, il braccio militare di Hamas, e di altre organizzazioni armate decise a resistere fino all’ultimo pur di fermare l’avanzata israeliana.
E riescono ad infliggere perdite alle truppe israeliane. In totale sono 16 i soldati morti nei combattimenti, nove dei quali quando il mezzo blindato sul quale si trovavano è stato centrato in pieno e distrutto da un razzo anticarro Kornet. Perdite ammesse dal capo di stato maggiore Herzi Halevi, che parla di «prezzo pesante e doloroso» ma «necessario».
er il portavoce militare comunque «L’operazione di terra procede come previsto». Le forze israeliane, ha detto ieri, hanno sfondato la prima linea di difesa di Hamas grazie ad attacchi congiunti da terra, aria e mare. In attesa del ritorno domani in Israele e Giordania del Segretario di stato Blinken, l’Amministrazione Usa continua a mandare rifornimenti di bombe alle forze armate israeliane che poi le scaricano su Gaza, accompagnate da appelli per l’aumento del flusso di aiuti umanitari ai civili che subiscono quei bombardamenti.
«La nostra aspettativa è che gli israeliani nel condurre questa campagna militare lo facciano nel pieno rispetto del diritto internazionale», ha proclamato convinto il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller che poi ha ammonito Israele dal tagliare di nuovo l’accesso a Internet per i palestinesi a Gaza.
In Cisgiordania si fa sempre più dura l’azione dell’esercito israeliano – nelle ultime ore uccisi altri tre palestinesi a Jenin e arrestato il capo di Fatah nella città – e sempre più pericolosa quella dei coloni. Ocha (Onu) denunciato che dal 7 ottobre a causa dei raid dell’esercito israeliano e degli attacchi dei coloni, sono stati sfollati più di 800 palestinesi.
Un colono e deputato israeliano, Tzvi Succot (Sionismo religioso), arrestato per l’incendio doloso di una moschea, ieri è stato nominato presidente della sottocommissione della Knesset che supervisiona la Cisgiordania occupata in questioni relative alla costruzione degli insediamenti e alla gestione dei posti di blocco.
MICHELE GIORGIO
foto: screenshot tv