A Genova scontri operai-polizia: «L’azienda blocchi la richiesta di cig»

Continua la protesta della Fiom. Poi gli agenti si tolgono i caschi e la tensione scende. L’8 luglio ci sarà il tavolo a Roma

Gli operai dell’ex Ilva di Genova sono tornati ad alzare la voce e accendere petardi per rompere il silenzio del governo e delle istituzioni sulle prospettive del loro lavoro in azienda. Mentre la ripresa economica fa ripartire la domanda di acciaio quella che è la più importante acciaieria in Italia, da lunedì 28 giugno, metterà in cassa integrazione i propri dipendenti.

A Genova sono 981 persone, molte delle quali ieri sono scese in piazza con un corteo dallo stabilimento di Cornigliano al centro città. Sotto i «palazzi del potere» – prefettura, Comune, Regione – alta tensione tra metalmeccanici e forze dell’ordine. Non sono mancati gli scontri.
Anche se non ha portato ad alcun risultato, almeno finora, si tratta della prima grande protesta a Genova da quando l’Ilva è diventata Arcelor Mittal e poi Acciaierie Italia.

Ma l’accusa dei sindacati è che lo stato, presente nel nuovo gruppo con Invitalia insieme ad Am InvestCo, non sia finora in alcun modo riuscito a influenzare le strategie aziendali. «Abbiamo chiesto di sospendere la cassa per ragionare a bocce ferme ma non abbiamo avuto risposte – ha detto all’alba durante l’assemblea di fabbrica Armando Palombo, coordinatore Rsu dell’ex Ilva di Cornigliano – e la protesta di oggi è per smascherare, con determinazione, fermezza e tutta la forza che ci possiamo mettere il silenzio e la complicità da parte del governo».

La prospettiva di un incontro – come chiesto e ottenuto ieri da Fim, Fiom e Uilm – giovedì 8 luglio al Ministero dello sviluppo economico al quale parteciperanno Acciaierie d’Italia e sindacati alla presenza di Giorgetti e Orlando per discutere delle prospettive industriali e della situazione occupazionale mette solo in stand by la protesta, così come è tutt’altro che scontato che a questo punto lunedì i lavoratori incontrino il ministro Orlando, una visita programmata da tempo. Lunedì ci sarà invece una nuova assemblea di fabbrica. «Abbiamo chiesto una presa di posizione ufficiale al governo contro la cassa integrazione e non è arrivata, aspettiamo il tavolo dell’8 luglio ma se l’azienda invierà le lettere per la cassa saremo di nuovo in piazza», afferma Bruno Manganaro, da qualche giorno ex segretario della Fiom genovese ma ancora punto di riferimento per i lavoratori.

Durante la manifestazione, gli operai hanno fatto capire di essere arrivati a un punto di non ritorno. In una città che forse più di altre sta soffrendo la crisi – prima della pandemia, il ponte Morandi e poi il caos dei cantieri Aspi – il rischio sociale è alto. Davanti al palazzo della prefettura di Genova e a quello della Regione i tafferugli sono stati a tanto così dal trasformarsi in veri e propri scontri. Spintoni e colpi di manganello, otto tra le forze dell’ordine (secondo la questura) e due tra i lavoratori, cori e insulti anche a sfondo sessista nei confronti di alcuni agenti donna ma alla fine tutto si è ricomposto quando la polizia ha accettato di togliersi i caschi. Era già successo: nel novembre 2020, quando i metalmeccanici avevano protestato contro le sospensioni dal lavoro di alcuni colleghi da parte di ArcelorMittal. Ancora prima, nel 2016, altra vertenza Ilva, una funzionaria della Questura si era tolta il casco prima di una carica, scongiurandola.

Un tentativo di dialogo con i lavoratori, ieri, c’è stato da parte del sindaco Marco Bucci. Con collare sanitario, convalescente dopo un brutto incidente domestico, ha scambiato alcune parole con Franco Grondona, altra figura storica della Fiom genovese. Ma anche il primo cittadino non ha pronunciato le parole che i sindacati gli chiedevano. «Ho parlato con l’ad Morselli ma la nostra azione non può essere altro che di moral suasion», ha detto Bucci. «Fate i forti con i deboli e i deboli con i forti», ha attaccato il sindacalista. Non era a Genova, per impegni istituzionali, il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti che ha condannato la violenza in piazza. Lo stesso ha fatto il sindacato Uil, ancora una volta segnando una certa distanza rispetto alle altre sigle. «Oggi non abbiamo vinto, non abbiamo assediato il fortino – ha concluso Grondona – ma la protesta continua, avveleneremo i loro pozzi».

GIULIA MIETTA

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Mondo lavoro

altri articoli