In queste ore si decide della probabile tregua nella guerra di Gaza. O, per meglio dire, del conflitto israelo-palestinese che muta forma e sostanza ogni qual volta serve un pretesto per radicalizzare le sragioni e le illogicità di sistemi di potere che, da un lato, pretendono di dirsi democrazie, al pari di quelle tronfie occidentali, e altrettanto tronfiamente si elevano al ruolo di Stato dalla morale superiore (oltre che di “popolo eletto“); dall’altro si fanno portavoce dell’interezza del mondo palestinese, consegnando al mondo una immagine distorta della complessità delle tante questioni e problemi che si sono affastellati nel corso dei decenni in Medio Oriente.
Gli attori perversi di questo tragicissimo teatro dell’assurdo, che purtroppo è tremendamente reale, non sono propriamente schematizzabili e irregimentabili in due nomi. Ma, tuttavia, risultano ben riconoscibili, nonostante tutte le loro camaleontiche trasformazioni che si sono potute osservare nello scorrere del tempo, guerra dopo guerra, atto terroristico dopo altro atto terroristico; complotto dopo complotto e affari dopo altri affari. Israele e Hamas. Dire che li conosciamo bene è essere presuntuosi. Un po’ tutti gli Stati hanno degli armadi delle vergogne in cui rinchiudono i loro segreti più inconfessabili. Un po’ tutti i movimenti radicali e fanaticamente religiosi e nazionalisti ne hanno altrettanti.
Ma l’evidente è l’evidente e non lo si può, nonostante oltre cento giornalisti ammazzati dalle bombe e dalle pallottole dello Stato ebraico, nonostante la censura nei confronti di televisioni, radio e Internet, celare più di tanto. La distruzione pressoché totale di Gaza, questo possiamo ben dirlo, è sotto gli occhi dell’intera comunità internazionale. Restano così poche case in piedi a Gaza, Rafah e Khan Younis, da domandarsi dove andrà il milione e mezzo di sfollati che, se la tregua sarà stipulata, dovranno rientrare nelle loro abitazioni, in quartieri fantasma, ricchi solamente di macerie, di cadaveri il cui odore putrido rimarrà per molto tempo intriso nel suolo, nell’aria di morte che si respira lì dove non c’è più niente da distruggere…
Quando una tragedia di queste proporzioni, dove vengono uccisi, nel corso di un anno e mezzo di combattimenti, oltre quaranta, cinquantamila civili (le cifre non sono ancora pienamente verificabili; c’è addirittura chi sostiene che possano essere oltre settantamila le vittime delle atrocità israeliane), esce dai propri limitati confini, si fa dramma regionale e mondiale, perché si situa in un crocevia di interessi che riguardano l’espansionismo tanto sionista quanto quello imperialista americano, è necessario allargare anche l’orizzonte dell’analisi politica, sociale, civile e culturale. Perché gli attori della tragedia si esibiscono, atto dopo atto, in ogni anfratto della vita quotidiana di popoli costretti a rifugiarsi nei bunker o a morire direttamente sotto le bombe.
Paola Caridi ha, in occasione degli eventi truci del 7 ottobre 2023 e dello scatenamento della guerra totale israeliana contro il popolo palestinese di Gaza, ripreso il suo “Hamas. Dalla resistenza al regime” scritto nel 2009 (edito da Feltrinelli) e lo ha aggiornato con una meticolosamente dettagliata ricerca a metà tra la cronaca e la storicizzazione della stessa: l’esame riguarda proprio la realtà multisettoriale di una società che, sovente, viene trascurata, ritenendo che la guerra sia esclusivamente il prodotto di quelli che, pure, sono gli agenti principali delle cause che la inducono a svilupparsi violentemente. Ossia, struttura economico-finanziaria, militarismo, potere politico. La convergenza di questi fattori è, senza dubbio, la genitorialità di una plurigemellare motivazione che sta a fondamento di ogni conflitto.
Preso atto, quindi, che il capitalismo è teorizzazione e concretezza del bellicismo tanto di ieri quanto di oggi, perché le guerre sono uno dei mezzi con cui controlla e gestisce le proprie contraddizioni locali e globali (pur subendone anch’esso le disastrose conseguenze nella generazione e rigenerazione di nuove e meno nuove contraddittorietà a dir poco endemiche ed ancestrali), per comprendere le ragioni antropologiche di uno scontro di lunga durata bisogna andare indietro nel tempo, storicizzandolo, così da arrivare al punto in cui tutto o quasi ha preso corpo e ha dato avvio alla contesa cruenta. Nel fare tutto questo, Paola Caridi fornisce un utile strumento che risolve molti dubbi sul conflitto israelo-palestinese, sulla destra sionista e sull’intransigente jihadismo di Hamas.
Entrambi questi protagonisti della guerra di Gaza sono oggi il baricentro attorno a cui muovono assi della contesa mondiale che trovano nella triangolazione del conflitto (Gaza, Cisgiordania e Libano) un terreno di confronto su cui misurare cinicamente, sempre e soltanto sulla pelle martoriata dei popoli, le rispettive forze in campo. L’autrice ci introduce ad una vera e propria natura nascosta di Hamas che, come si legge nel sottotitolo, passa da movimento per la resistenza del popolo palestinese a regime sul popolo palestinese stesso. Ed anche qui, tuttavia, c’è un equivoco di fondo che difficilmente ci si riesce a scrollare d’addosso: il movimento che ha governato Gaza a lungo non era confinato entro l’asfittica striscia di terra tra il deserto e il Mediterraneo.
I suoi orizzonti politici riguardavano l’intera Palestina ma il dualismo con l’ANP, che governa (si fa per dire…) la Cisgiordania, ha permesso una banalizzante schematizzazione del potere, regalando a Tel Aviv il ruolo di spettatore quasi passivo nei confronti della sopravvivenza palestinese a Gaza, e ad Hamas quello di movimento politico e amministrativo ridotto a gestire una piccola porzione di terra da cui niente entrava e niente usciva senza l’approvazione di Israele. Questa seconda affermazione è vera. Il resto è una rappresentazione cui siamo stati abituati da una lettura distorta dei rapporti di forza interni tanto alla società palestinese quanto a quella più articolata dello Stato di Israele.
L’edizione ampliata a aggiornata del lavoro di Paola Caridi ci mostra tratti molto differenti rispetto alla narrazione cui siamo abituati. Non si tratta di cambiare il proprio giudizio su Hamas, che rimane un movimento fanaticamente ancorato ad una religiosità che nega il carattere laico dell’OLP prima e dell’ANP poi. Qui si vuole scrutare a fondo la natura del movimento a trecentosessanta gradi, senza tralasciare nulla, pur incombendo la guerra e, quindi, essendo naturalmente indotti a prendere di più in considerazione gli elementi ascrivibili al carattere bellico, all’ala militare di Hamas, così come a quella di Israele.
Le domande che Caridi si fa e ci fa sono tante. Ad alcune, come si faceva cenno poco sopra, il libro offre delle risposte che, naturalmente, anche per il rapido evolversi degli eventi, sono soggette ad una inevitabile riconsiderazione dei fatti alla luce di nuovi sviluppi. Ma sul passato, anche recente, si può incominciare a riflettere, dati alla mano. Ed una domanda che dal libro emerge con un ben distinguibile punto interrogativo è questa: come è stato possibile che l’intelligence israeliana, encomiata unanimemente da tutti i più grandi analisti del mondo che si occupano di servizi segreti, spionaggio e quant’altro, si sia fatta gabbare in quel 7 ottobre 2023 e non vi sia stata alcuna avvisaglia della sortita di Hamas oltre confine? Addirittura con il rapimento di oltre duecento ostaggi, metà dei quali sono ancora in mano dell’organizzazione terroristica.
Al netto delle teorie complottiste, sono state avanzate – scrive Paola Caridi – numerose ipotesi e altrettante illazioni: probabilmente, se non esiste una sola risposta convincente e reale in merito, quella più convincente è anche quella più intuitiva. Ossia il fatto che i servizi segreti israeliani abbiano sottovalutato le potenzialità di un movimento che, nel corso dei decenni, ha ottenuto importanti appoggi finanziari da Stati come l’Iran e il Qatar, organizzazioni para-statali (come Hezbollah e gli Houthi), e che, pur non possedendo il volume di fuoco, le tecnologie e le capacità belliche israeliane, è riuscito ad accumulare ingenti profitti commerciando e barattando la propria lotta armata con le mire arabe nella regione.
In sostanza, per Hamas «quella del 2021 è la prima guerra che non è legata alla Striscia ma ad un luogo paradossalmente lontano per l’esperienza quotidiana dei palestinesi di Gaza»: la Cisgiordania. Tanto lontana politicamente, tanto vicina geograficamente. Da quel momento Hamas esce dai confini ristretti in cui era stato (e si era) posto e si proietta nel moderno risiko di un gioco mediorientale in cui la tanta pluralità degli interessi che si scontrano gli permette di avere un ruolo di primissimo piano. Ciò gli permette di riaprire un dialogo con una società palestinese sempre più avvilita e delusa dall’insipienza politica dell’ANP, che fa i conti con una debolezza gerontologica dei suoi apparati di governo, di una rappresentanza sempre meno credibile.
Scrive Paola Caridi che Hamas dal 2021 risponde così in pratica «alle critiche diffuse secondo cui, da quando ha preso il potere a Gaza nel 2007, è stata assorbita, e dunque resa impotente, dalle questioni locali a scapito di questioni nazionali su larga scala, tra cui Gerusalemme, gli insediamenti israeliani e i rifugiati palestinesi». Del resto, la oggettiva sproporzione tra benessere della società israeliana e degrado miserrimo di quella gazawita (e non di meno di quella cisgiordana vessata dal neocolonialismo fascistoide dell’ultra destra sionista) è stata una delle stimolazioni più efficaci del malcontento che ha portato consensi sempre più ampi ad Hamas, in assenza di una alternativa credibile che riprendesse il carattare laico e progressista di Fatah.
Molto interessante è il confronto che nel libro si ritrova molte volte tra il paesaggio propriamente tale dello Stato di Israele e il Territorio occupato palestinese. L’omogeneità geografica degli elementi (tanto delle zone irrorate dal Giordano quanto quelle più duramente desertiche) si infrange innanzi ad una dicotomia ormai storica dettata da uno sviluppo talmente ineguale da essere il paradigma della politica dello Stato ebraico nei confronti dei propri vicini autoctoni. Hamas si rende conto di questa verticale disparità tra i due popoli e la utilizza per fomentare un nazionalismo che, al pari della destra iper religiosa del governo di Tel Aviv, divenga l’asse portante della lotta. Gli servirà come linea politico-organizzativa per passare dalla fase della resistenza a quella del regime.
«Per poi entrare nel mondo e aiutare i settori della società più a rischio per debolezza economica e spesso, di conseguenza, identitaria» Hamas si adopera come governo del popolo che impone una visione del conflitto declinata su un terreno quasi esclusivamente religioso. All’indipendentismo laico si sostituisce uno jihadismo supportato da decenni di confronti in campo aperto tra Occidente e Medio Oriente: dalle guerre arabe contro Israele a quella dei Sei giorni; dalle guerre del Golfo a quelle contro il terrorismo qaedista. Il panarabismo qui ha un ruolo altalenante, ma è pur sempre presente: diversamente da come lo intendevano Arafat e i suoi. L’indipendenza è utile soltanto se, per Hamas, conduce alla fine di quella che viene definita, comunemente con l’Iran, l'”entità sionista“.
L’analisi di Paola Caridi pone a sottolineatura come l’affrontare Hamas solo sul piano militare sia un gravissimo errore: per battere questo movimento radicalmente politico e fanaticamente religioso servono le armi della diplomazia e del confronto su più piani: «I movimenti radicali delle aree di crisi» scrive l’autrice «quelle che hanno insito nella ragione della propria nascita il dualismo resistenza -politica, rivoluzione-politica, possono ipoteticamente entrare – prima o poi – nella cornice negoziale, nell’alveo di una dialettica sostenibile con le istituzioni». Il problema è riuscire a mettere a confronto due opposte teorizzazioni di superiorità politica, culturale e morale, quali Israele da un lato ed Hamas dall’altro si ritengono.
È una sfida ancora tragicamente aperta, mentre i morti, tregua o no, si contano ogni giorno a decine su decine e le macerie si cumulano le une sulle altre…
HAMAS. DALLA RESISTENZA AL REGIME
PAOLA CARIDI
FELTRINELLI, 2023
€ 20,00
MARCO SFERINI
15 gennaio 2025
foto: particolare della copertina del libro
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